Il ministro Cingolani ha reso noto il testo del Programma nazionale di gestione dei rifiuti, ora in fase di consultazione. Una volta approvato il Pngr detterà le linee guida operative molto chiare e operative alle Regioni chiamate ad approvare i propri piani regionali di gestione dei rifiuti. Si tratta di un documento un po’ particolare: non un piano di impianti e localizzazioni, ma una metodologia per scrivere i Piani regionali in modo serio e credibile, che individua i criteri per l’analisi dei flussi dei rifiuti e chiede alle Regioni di fare Life Cicle Assessment (LCA) per valutare i migliori scenari gestionali.
Obiettivo della “regola” nazionale costringere le Regioni a definire scelte impiantistiche basate sull’autosufficienza regionale almeno su tutti i rifiuti urbani. Si stima il fabbisogno, si individuano gli impianti esistenti nel territorio regionale e per differenza si individua il gap infrastrutturale da colmare con impianti all’interno della Regione. Il Mite sapeva che molte Regioni in questi anni hanno approvato Piani che contenevano escamotage vari per non fare i conti con la realtà, rinviare i problemi o spostarli in altri territori, pur di non correre il rischio politico ed elettorale di fare impianti nei propri territori.
Così le linee guida ministeriali prima di tutto stabiliscono che tutti i rifiuti urbani devono essere trattati e smaltiti in regione anche se subiscono delle lavorazioni intermedie che formalmente li trasformano in rifiuti speciali. Così il Pngr dice che i fabbisogni regionali devono includere gli scarti delle raccolte differenziate e del riciclo, flusso che oggi scompare da ogni contabilità e finisce in discarica o fuori regione. Dice anche che i flussi in uscita dagli impianti di selezione di rifiuti urbani (i famosi Tmb) devono essere considerati nel flusso di rifiuti urbani da gestire in prossimità e non possono quindi più essere spostati fuori regione e all’estero, trattandoli come rifiuti speciali quindi sul libero mercato. Infine si stabilisce che l’obiettivo di discarica al 10% al 2035 deve essere raggiunto progressivamente indicando chiari step intermedi a partire dal 2023. Tre mosse contro la sindrome Nimby (esporto i rifiuti fuori regione) e contro la sindrome Nimto (rinvio le decisioni critiche al prossimo mandato regionale usando le discariche esistenti).
Il Pngr indica anche un criterio per la scelta degli scenari impiantistici, quando chiede di fare LCA sulle scelte di Piano. Per esempio il documento già dice che, analisi economiche ed ambientali alla mano, conviene incenerire il rifiuto urbano residuo (quello che non si ricicla) direttamente in un termovalorizzatore per rifiuto tal quale, senza pretrattamenti costosi ed inutili. Dice anche che quello che non si ricicla (circa il 35% del totale dei rifiuti urbani) va gestito secondo la gerarchia europea: prima il recupero energetico e solo dopo la discarica. Insomma dal recupero energetico non si scappa, indicazione resa ancora più attuale dalla crisi energetica in corso che ci chiama a sfruttare al meglio tutto il potenziale energetico disponibile nelle risorse nazionali, rifiuti inclusi.
Fra poche settimane tutte le Regioni dovranno quindi confrontare i propri piani regionali con le linee guida del Pngr, quindi approvare nuovi piani o aggiornare gli esistenti entro 18 mesi, rendendoli coerenti con le linee guida nazionali. Obiettivo: regioni (a macro aree) autosufficienti e capaci di colmare il gap impiantistico esistente e ridurre l’uso della discarica. La Regione Sicilia ha concluso alcuni mesi fa un lungo processo di approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti, che ora dovrà quindi reggere lo “stress test” del confronto con il Pngr. Legge regionale e Piano regionale indicano con chiarezza adesso (specie dopo le ultime integrazioni) l’obiettivo dell’autosufficienza impiantistica nei rifiuti urbani a scala regionale e di ambito territoriale. La definizione dei fabbisogni e le localizzazioni sono demandate agli enti di ambito, ma già si parla di un primo impianto di incenerimento da realizzare in un’isola che non ne ha nemmeno uno, usa molto le discariche esistenti, pubbliche e private.
Forse la Regione Sicilia dovrà rifare un po’ di conti sui flussi di rifiuto urbano e sui fabbisogni impiantitici, sulla base delle importanti novità metodologiche contenute del Pngr. Sono stati considerati gli scarti del riciclo? Si sono considerati tutti i flussi in uscita dai molti TMB di cui l’isola dispone? Che obiettivi intermedi di discarica verranno considerati, in relazione con i tempi di realizzazione dei nuovi impianti finali? Gli impianti di gestione della frazione organica esistenti o in fase di autorizzazione sono sufficienti? Quali e quante discariche conservare? Come sarà alimentato il nuovo inceneritore?
Qualche numero si può già dire. La Sicilia produce circa 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, se il 65 % andrà a riciclo, resterà da gestire sull’isola il restante 35% circa 800.000 tonnellate fra scarti del riciclo e rifiuti indifferenziati non riciclabili. Serviranno quindi impianti per questa dimensione di flusso e non solo TMB (impianti intermedi), ma inceneritori e discariche (solo fino al 10%, quindi 220.000 tonnellate). Serviranno poi impianti per gestire le raccolte differenziate sia per la frazione organica che per la frazione secca. Tutto all’interno dell’isola, difficile pensare nel caso siciliano a “macroaree”.
Tutto questo dovrà essere scritto con chiarezza. L’autosufficienza impiantistica di una regione grande ed importante come la Sicilia non è un “problema”, ma una grande opportunità per l’economia siciliana e l’ambiente. Una sfida di investimenti green, innovazione e politiche ambientali ed industriali che adesso può essere vinta. Il Pngr aiuta.
Chicco Testa
Presidente Fise Assoambiente