Pablo non si sa se sia vivo, ma il centrodestra, almeno quello che conoscevamo, pare abbastanza morto.
Le dichiarazioni di Gianfranco Miccichè, forse il più “Franco”, al netto di Miceli, esponente del centrodestra in Italia sono emblematiche. Lui esprime quello che molti per convenienza, la convenienza dei collegi elettorali, tacciono. Il centrodestra in Italia non esisteva fino al 1994, poi Berlusconi lo creò, a sua immagine e somiglianza. Oggi, parafrasando Johnny Stecchino, non gli somiglia per niente. E non è solo un problema di baricentro politico, è sostanzialmente un motivo di collocazione internazionale e di interessi rappresentati. La stragrande maggioranza dei parlamentari del centrodestra erano collocati nella grande famiglia del Partito Popolare Europeo, la famiglia di De Gasperi, Adenauer, Kohl, Moro, La Pira.
Questo fino a qualche anno fa. Oggi il centrodestra, per quanto riguarda i numeri da cui è costituito, è fuori dall’asse che ha fondato e rappresenta la governance dell’Europa.
Al suo interno sono maggiormente rappresentati partiti in evoluzione come Fratelli d’Italia, partito sovranista di destra, e la Lega in trasformazione verso Prima l’Italia, partito ancora da definire come collocazione europea, che oscilla tra populismo spinto e moderatismo alternato.
Questa differenziazione di strategie evidente ha fatto scomparire il centrodestra classico, imperniato su Forza Italia e sul suo fondatore. Di fatto una linea comune non c’è, non hanno governato tutti e tre insieme in questi anni, non c’è un leader riconosciuto da tutti. Non hanno votato insieme nemmeno sulle cariche istituzionali. La Meloni tirandosi fuori dall’elezione di Mattarella ha voluto marcare la differenza di valutazioni e strategie rispetto agli altri due partner, che stanno in un governo che lei avversa. Esiste una coalizione in Europa o nel mondo in cui una parte governa ed un’altra fa opposizione? No. E questo perché evidentemente non c’è più la coalizione. È rimasta come simulacro solo perché ancora non si è presa una decisione sulla legge elettorale. Se ci fosse il proporzionale puro scomparirebbero d’incanto le coalizioni. La Meloni ha una strategia chiara, ha già virato la prua verso una rotta differente dagli altri due soggetti, e gli strappi locali, come quello in Sicilia, sono solo delle accelerazioni.
Quello che sta succedendo in Sicilia non è un laboratorio, ma l’antipasto di quello che succederà in Italia a breve. Al di là dello scontro personale tra Miccichè e Musumeci la querelle è fondamentalmente politica. Con l’abbraccio ad un partito di destra, decisamente minoritario all’inizio della legislatura regionale, Musumeci ha rinunciato alla sua collocazione autonomista neutrale e questo cambia totalmente il DNA del patto, suggellato a fatica, del 2017. Cambia la natura politica e le ragioni dello stare insieme. Tra quei partiti e quelli di oggi è passata un’era geologica in termini di pesi e rappresentanze. Il Musumeci Bis non sarebbe la continuità di un accordo precedente. Sarebbe tutt’altra cosa. A questo si aggiunge l’incomprensione politica tra coloro che in quella coalizione hanno governato e coloro che son stati per la maggior parte del tempo a guardare. Ma che è solo la superficie di un disallineamento molto più profondo.
Miccichè ha smentito i toni, anche se dare del catanese ad un catanese sembra lapalissiano, ma la sostanza è politica, ed è questione nazionale e non solo locale. Oggi il centrodestra italiano non ha un solo motivo per stare insieme, se non il potere, ma oggi quel potere è commissariato, per oggettiva incapacità degli attori politici, da Mattarella e Draghi. E la politica con la rielezione di Mattarella ha voluto ribadire la sua volontà a continuare ad essere commissariata. E quindi, senza nemmeno l’ambizione del potere, il centrodestra, fratturato e diviso, per impossibilità di raggiungere l’oggetto sociale è cessato di esistere.
Miccichè in un impeto mozartiano dei suoi ha solo intonato il Requiem.
Così è se vi pare.