Il ventiseiesimo appuntamento con la Pagina Bellezza del QdS sarà l’ultimo del 2020. In questo anno così difficile per tutti, il Quotidiano di Sicilia ha fatto una scelta coraggiosa e in “controtendenza” impegnandosi a raccontare non solo brutture e inefficienze ma anche la bellezza che ci circonda. Un’abitudine, quella di dare spazio alle “belle notizie”, che non vogliamo perdere e che porteremo avanti con costanza anche nel 2021.
Quest’ultimo appuntamento dell’anno è dedicato a ricerca e innovazione, fari di “speranza” anche nelle situazioni più complicate. Un piccolo robot, alto come un bambino, sta per entrare per la prima volta al mondo in un reparto per ragazzini autistici per dare loro una mano a comunicare con il mondo. È il robot umanoide iCub realizzato all’Istituto Italiano di Tecnologia che ha annunciato, insieme all’Opera Don Onorione di Genova, l’ingresso – mai accaduto prima d’ora- del suo robot in una struttura riabilitativa per prendere parte ad un trattamento sperimentale nell’ambito di una ricerca sui disturbi dello spettro autistico.
L’Istituito spiega che nei prossimi mesi, infatti, il team Social Cognition in Human-robot Interaction di Iit guidato dalla ricercatrice Agnieszka Wykowska lavorerà insieme all’equipe riabilitativa del Centro Boggiano Pico di Genova, polo specializzato nel trattamento dei disturbi del neurosviluppo dell’Opera Don Orione, “per testare l’efficacia dell’utilizzo del robot nel trattamento di bambini affetti da disturbo dello spettro autistico direttamente in un contesto ambulatoriale”.
Gli scienziati ricordano che il disturbo dello spettro autistico è una sindrome estremamente complessa che esordisce in età evolutiva e che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale. In Italia, sono almeno 600 mila le persone, e quindi le famiglie, interessate dall’autismo. Dei 435 mila nuovi nati nel nostro paese nel 2020, più di 4000 soggetti potrebbero essere diagnosticati con spettro autistico nel corso dell’età evolutiva.
Il progetto di Iit e Opera Don Orione nasce dall’idea “di mettere concretamente la ricerca e la tecnologia più avanzata al servizio della società in un contesto puramente clinico e di cura”. Nell’ambito di un intervento multidisciplinare ed individualizzato, la sperimentazione prevede l’interazione tra il robot iCub e un gruppo di bambini già inseriti nel percorso terapeutico del Centro Boggiano Pico, allo scopo di sviluppare le loro capacità di comprendere il punto di vista altrui.
Gli esperti sottolineano che le persone con autismo, infatti, “hanno anche difficoltà a cogliere la prospettiva spaziale” di chi si trova di fronte a loro, e proprio questo tipo di abilità è alla base di numerose competenze sociali. Questo programma di trattamento rappresenta “il primo passo di un percorso riabilitativo di complessità crescente” che, rimarcano dall’Iit e dall’Opera Don Orione di Genova, potrebbe fornire ai giovani pazienti un aiuto per acquisire gli elementi di base per l’interazione sociale, migliorando sensibilmente la qualità della loro vita.
“Il ruolo del robot è fondamentale in questo tipo di trattamento”, osserva Davide Ghiglino, ricercatore del team Iit. Agnieszka Wykowskache guida il team evidenzia che “interagire con un essere umano in questo caso – spiega – fornirebbe una quantità di stimoli troppo elevata e difficile da interpretare per individui con condizioni dello spettro autistico” mentre “un robot ripete la stessa azione, nello stesso identico modo, un numero infinito di volte, cosa che risulterebbe impossibile per un essere umano, d’altra parte le competenze del terapeuta sono insostituibili”.
“Questa attività sottolinea l’importanza della multidisciplinarietà e dell’utilizzo di nuove tecnologie come la robotica in campo clinico” conclude la responsabile del team Social Cognition in Human-robot Interaction di Iit. Al Centro Boggiano Pico vengono seguiti circa 200 bambini e adolescenti con disturbo del neurosviluppo, di cui circa 80 presentano un disturbo dello spettro autistico. La sperimentazione prevede il coinvolgimento di bambini nella fascia della prima infanzia in trattamento presso la struttura, e si integra con i metodi e le strategie abilitative già in corso secondo le linee guida nazionali.
Si tratta, riferiscono Iit e Opera Don Orione Genova, “di bambini nei quali il disturbo si manifesta in maniera unica anche per quanto riguarda le possibili comorbidità. Ogni bambino effettuerà il training per circa due mesi”. E così, in ogni seduta, iCub affianca il terapeuta ed è impiegato in base alle competenze specifiche di ogni bambino.
“Il trattamento con il robot, già di per sé un’esperienza stimolante e rinforzante, si integra con altri interventi sulla motricità, le competenze socio-relazionali e quelle comunicative” sottolineano i ricercatori. La fase iniziale della sperimentazione si rivolge a circa 50 bambini e si concluderà a giugno del 2021. L’obiettivo, nei prossimi anni, è sviluppare ulteriori e diversi training che possano aiutare bambini con spettro autistico a implementare e accrescere specifiche competenze. La dottoressa Tiziana Priolo e la dottoressa Federica Floris, neuropsichiatra infantile la prima e psicologa la seconda presso il Centro Boggiano Pico, coordinano il progetto per l’Opera Don Orione. Flori spiega che “in concreto, io sono perfettamente in grado di descrivere la posizione degli oggetti rispetto a me stessa e, di conseguenza, rispetto ad un altro soggetto. Per chi presenta un disturbo dello spettro autistico questa competenza potrebbe non essere così immediata”.
“Acquisire la capacità di elaborare informazioni spaziali relative ad un punto di vista differente dal proprio, – aggiunge la psicologa – potrebbe aiutare a sviluppare competenze riconducibili all’ambito dell’empatia, come la conoscenza delle proprie emozioni, il loro controllo, il riconoscimento delle emozioni altrui e la gestione delle relazioni”.
La dottoressa Tiziana Priolo rimarca che “l’obiettivo della sperimentazione clinica è quello di verificare l’efficacia di nuovi protocolli di trattamento, integrando i modelli di riabilitazione raccomandati attualmente per il disturbo dello spettro autistico con interventi più specifici per le abilità sociali. A lungo termine, la prospettiva è quella di ottenere nuovi strumenti che supportino l’équipe multidisciplinare nella presa in carico dei bambini e degli adolescenti”.
“La domanda alla quale vogliamo dare una risposta è: il robot e l’intelligenza artificiale possono diventare strumenti aggiuntivi con i quali acquisire nuove capacità e migliorare la qualità della vita dei bambini con disturbo dello spettro autistico?” indica infine la neuropsichiatra infantile del Centro Boggiano Pico. Nello specifico, il training prevede un allestimento che consiste in un tavolo, realizzato appositamente dai tecnici Iit, dotato di strumenti per rendere l’interazione tra il robot e il bambino più semplice ed efficace come un vassoio mobile per lo scambio di oggetti, paratie trasparenti per garantire una sicura interazione e cubi di gommapiuma dotati di figure e colori diversi su ogni faccia. Durante il trattamento il robot iCub scambia uno dei cubi in gommapiuma con il bambino e osserva una delle sue facce. In seguito il terapista chiede al paziente, quale immagine o colore presente sulla faccia del cubo riesca a vedere e quale, secondo lui, il robot stia guardando.
Gli specialisti del Centro Boggiano Pico, per facilitare l’interazione tra i bambini e il robot hanno lanciato un contest tra i piccoli pazienti per trovare un nome all’esemplare di iCub utilizzato nel training, per ora soprannominato Dott. Robot. Nel corso della sperimentazione verrà decretato il vincitore. Al momento i nomi in gara sono Luigi (n.d.r. don Luigi Orione, fondatore dell’Opera), Isaac, Marvin e Albert. Questa collaborazione si inserisce nel contesto del Center for Human Technologies dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Cht-Iit@Erzelli) che, anche grazie al supporto della Regione Liguria, nasce per connettersi con le realtà cliniche e ospedaliere del territorio per trasferire i risultati della ricerca in contesti reali portando a ricadute concrete sulla salute delle persone.
Nell’ambito dell’ultimo bando della Ricerca Finalizzata del ministero della Salute, l’Irccs Fondazione Stella Maris di Pisa ha vinto il primo progetto, guidato da Giuseppina Sgandurra, ricercatrice della Stella Maris e dell’Università di Pisa. Lo studio che ha un finanziamento ministeriale di 450 mila euro (727 mila in totale, compreso il co-finanziamento) punta a estendere le precedenti esperienze di Aot (terapia riabilitativa basata sulla scoperta dei neuroni specchio, ossia la corrispondenza tra azione osservata e azione eseguita) dai bambini con paralisi cerebrale a tipoemiplegia (paralisi a uno dei due lati del corpo) a quelli con diplegia (paralisi a entrambi i lati). Lo studio ha la collaborazione di partner di grande rilevanza e in particolare, Giovanni Cioni, direttore scientifico dell’Irccs Stella Maris, Adriano Ferrari dell’Azienda Usl Irccs di Reggio Emilia ed Leonardo Fogassi del Dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Università di Parma. Partecipa al progetto anche la giovane terapista Elena Beani, che da sempre ha collaborato nel portare avanti questo tipo di progetti di successo. Questo pool di ricercatori sono stati fra i primi a sperimentare l’Aot nei bambini con paralisi cerebrale, in particolare nell’emiplegia. Inoltre, hanno lavorato alla progettazione, analisi dei dati clinici e risonanza magnetica di questo nuovo approccio riabilitativo, sperimentando anche l’utilizzo di un supporto tecnologico con Tele-Upcat, il progetto anch’esso finanziato dal ministero della Salute nel 2011 che ha visto protagonista la stessa Sgandurra. Quello studio ha ottenuto risultati ottimi, che hanno permesso all’Aot di essere annoverata tra gli approcci più validati scientificamente nella riabilitazione dell’arto superiore neibambini con paralisi cerebrale.
“Nell’ambito delle nuove prospettive della medicina personalizzata – dice Sgandurra – abbiamo sempre asserito che non era possibile utilizzare gli esercizi proposti al bambino con emiplegia per i bambini con diplegia per la compromissione bilaterale dei loro arti superiori. Per questo, appena dimostrato scientificamente che l’Aot funziona e che si può praticare direttamente a casa del bambino, abbiamo ideato un nuovo progetto per il recupero della manipolazione nei bambini con forme diplegiche’’.
“Anche in questo caso gli esercizi sono personalizzati alle specifiche richieste riabilitative del singolo paziente. L’interesse verso i pazienti diplegici – aggiunge Ferrari – è giustificato non solo dal loro numero, inferiore di poco solo a quello dei bambini emiplegici, ma dal fatto che il recupero della capacità di manipolazione in questi pazienti è stato troppo a lungo oscurato dalla attenzione rivolta ai problemi del cammino”.
“Questo progetto – sottolinea Fogassi – ci darà un’importante opportunità, come per i precedenti progetti nei bambini emiplegici, di mettere in evidenza le modificazioni cerebrali alla base degli effetti della terapia nei diplegici”. “L’utilizzo della tecnologia Khymeia, industria italiana di apparecchiature biomedicali, permetterà di implementare per la prima volta l’Aot in una replicabile struttura di tele-riabilitazione. Il nostro progetto è stato giudicato così valido – spiega Sgandurra – da meritare un ulteriore finanziamento da parte dell’Aacpdm, la più grande associazione Americana sulla paralisi cerebrale, per effettuare uno studio pilota mirato, prima di iniziare quello più complesso finanziato dal Ministero della Salute. Entrambi gli studi verranno condotti su bambini eleggibili afferenti per la terapia rieducativa alla Fondazione Stella Maris di Pisa e alla Unità per le gravi disabilità infantili dell’Irccs Ausl di Reggio Emilia”.
“Tra le caratteristiche del progetto – commenta il professore Giovanni Cioni – che hanno permesso di superare la concorrenza delle centinaia di proposte presentate al ministero della Salute, voglio ricordare la sua interdisciplinarità, che mette insieme le scienze neurologiche e riabilitative sul bambino, le neuroscienze di base e le nuove tecnologie Ict, applicate ad un disturbo neurologico, molto grave per sue conseguenze per il bambino e la sua famiglia e non raro”.