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Rientro post-malattia, quando il licenziamento è ritorsivo

ROMA – È ritorsivo, oltre che illegittimo, il licenziamento di un dipendente che rientra in azienda in seguito ad un lungo periodo di malattia, in assenza di un giustificato motivo oggettivo. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 23583/2019, depositata lo scorso 23 settembre.

Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, che è pienamente assimilabile a quello discriminatorio (vietato dagli artt. 4 legge n. 604/66, 15 legge n. 300/70 e 3 legge n. 108/90) rappresenta un’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e deve essere dichiarata la nullità quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante. Spetta pertanto sul lavoratore l’onere di dimostrare le circostanze da cui dovrebbe desumersi il carattere ingiusto ed arbitrario.
Il caso preso in esame dal Tribunale riguarda un lavoratore che, rientrato in servizio dopo sette mesi di assenza continuativa ha ricevuto una lettera di licenziamento giustificata dalla chiusura del settore produttivo in cui prestava servizio, nello specifico nel reparto di lavorazione della bigiotteria e dell’argenteria, a fronte di un calo di commesse nel settore. L’impresa ha dunque sostenuto “l’impossibilità di ricollocamento del soggetto in altre mansioni uguali o equivalenti”.

Il Tribunale, invece, in risposta al reclamo del dipendente, ha stabilito il “carattere ritorsivo del licenziamento”, in quanto sussiste la “dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia”. Più nello specifico, infatti, è emerso che non esisteva un reparto specifico di appartenenza del lavoratore e che, invece, le sue mansioni erano parte del core business dell’azienda stessa.
Va aggiunto che, così come citato nella sentenza “non si era in presenza di un’ipotesi di ristrutturazione aziendale ma di un’ipotesi di una mera riduzione delle mansioni del reclamante”.

Inoltre, il lavoratore ha ricevuto l’intimazione di licenziamento senza aver prima potuto riprendere effettivamente servizio. Il neo assunto, inoltre, era meno anziano e con minori competenze nel settore di riferimento.

Dalle indagini e dalle testimonianze raccolte dalla Corte, si è venuti a conoscenza del fatto che, successivamente al licenziamento dello stesso, la società ha provveduto ad assumere una nuova figura per svolgere le stesse attività a cui era precedentemente stato assegnato il lavoratore licenziato.
Per tutte queste motivazioni, la Corte ha giudicato il licenziamento esclusivamente come frutto della “volontà dell’azienda”, sottolineando “l’infondatezza del motivo oggettivo”con l’aggravante del carattere ritorsivo, dedotta dalla verifica dell’insussistente riorganizzazione aziendale e la coincidenza temporale del recesso con il rientro dalla malattia, che ne rappresentano una conferma incontrovertibile.

Ne consegue che, se il motivo di licenziamento è apparente il lavoratore va reintegrato nel posto di lavoro, con l’obbligo di risarcirgli il danno pari alle retribuzioni dal giorno di licenziamento sino a quello dell’effettivo reintegro, oltre rivalutazione monetaria e interessi legati sulla somma, nonché “il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.