CATANIA – Il ruolo strategico che i termovalorizzatori svolgerebbero in Sicilia. Questo il tema centrale di un convegno organizzato nell’ambito di “Ecomed 2022” dal coordinatore dei Comitati tecnico-scientifici della manifestazione e professore di Impianti Chimici in UniCT Giuseppe Mancini che ha moderato l’incontro insieme al prof Giuseppe Caputo, presidente di Aidic Sicilia. Tra i relatori, oltre allo stesso Mancini, Fabio Costarella, responsabile del Conai per il centro-sud, Mario Grosso, docente del politecnico di Milano, Simone Malvezzi di A2A, Giuseppe Amara della Gespi srl, Concetta Italia di Kalat ambiente, Margherita Ferrante, docente Unict, Pier Francesco Rizza, esperto di diritto ambientale del Wwf, Pieremilio Vasta della Rete Civica della Salute e Audrey Vitale del consorzio Solidalia Coop. In apertura i saluti di Franco Cirillo, governatore del distretto Lions 108Yb Sicilia che ha promosso il ruolo dei club service nel supportare la diffusione della cultura ambientale.
Il prof. Giuseppe Mancini, presidente dell’Associazione nazionale di Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, ha introdotto il tema parlando del modello di gestione dei rifiuti urbani della Regione siciliana. “In Sicilia non si può parlare di crisi o emergenza rifiuti in quanto la situazione di criticità è in realtà cronica”. Nonostante questa situazione, dati alla mano, Mancini ha mostrato come dal 2015 la raccolta differenziata è fortemente in crescita nell’Isola, anche se ancora lontana dai livelli presenti nelle migliori regioni del nord Italia come Veneto o Lombardia. “Molti Comuni – aggiunge – si vantano di raggiungere l’80% di differenziata ma non tutta quella quota di differenziato va poi effettivamente a recupero, in quanto ci sono delle frazioni di scarto molto importanti”.
Livelli di scarto che sono stati illustrati dal prof. Mario Grosso. “Gli scarti – spiega – vengono generati già a partire dalla raccolta differenziata, proseguendo nelle fasi di selezione e di riciclo. A livello nazionale si evidenziano differenze sugli scarti a seconda della tipologia di raccolta: in genere viaggiano intorno al 20% del raccolto e solo per la raccolta mista vetro e metalli si fermano al 5%”.
Secondo Mancini e Grosso, anche con un livello di differenziata al 75% del rifiuto prodotto “considerando molto ottimisticamente un 15-20% di scarti – che si somma al restante 25% di indifferenziato – avremo sempre un 35-40% di rifiuto residuale da smaltire. Ma oggi siamo al 45% di RD ed in discarica va ancora il 65-70%”.
Per lo smaltimento in futuro di questa quota del 35-40% – più difficilmente eliminabile -, la Regione ha coerentemente prospettato la realizzazione due termovalorizzatori, in linea con la gerarchia Europea sulla gestione dei rifiuti. “Ci sono però gruppi di contrasto al recupero dell’energia dai rifiuti – chiosa Mancini – che asseriscono, senza alcuna base tecnica, normativa e scientifica – e negando l’evidenza dei fatti e dei dati – che non è più il tempo di termovalorizzatori e che il recupero energetico del rifiuto residuale è una scelta insostenibile. Queste persone, propongono slogan utopistici legati al concetto del rifiuto zero che non trova posto nel mondo reale e che continuano a radicare, senza accettare possibilità di confronto, ideologizzazioni divisive in una popolazione inerme dando vita, sempre più spesso in Sicilia, a un’ingenua quanto dannosa opposizione a qualunque impianto, anche il più semplice. Con il risultato finale, sancito da una storia trentennale, di continui ampliamenti di discarica o di prossimi e costosissimi trasferimenti all’estero – perché il non-zero rifiuto lo si gestisce con gli impianti, non con gli slogan”.
“Tutti i Paesi – aggiunge Caputo – hanno superato questo sterile dibattito già tanti anni fa e oggi il ciclo dei rifiuti l’hanno chiuso: nessun cittadino si pone il problema ‘sì termovalorizzatore, no termovalorizzatore in Germania come in Svizzera’. Noi siciliani scontiamo anche questo un ritardo culturale”.
A confermare questa ennesima dissimmetria lungo lo stivale è stato Fabio Costarella. “In Italia – dichiara – si è spinto molto sul riciclo nelle regioni del Nord che accoppiano recupero di materia e recupero energetico portando a zero la discarica. Al sud continuano a mancare entrambe le tipologie di impianto e per questo il ciclo non si può ancora chiudere. Sugli imballaggi continua ad esserci una crescita costante ma occorre puntare al riciclo effettivo e non solo su valori elevati di raccolta differenziata cui guardano più i singoli comuni. Le due cose non camminano sempre in parallelo. Noi come consorzio stiamo cercando di ridurre l’impatto degli scarti su tutta la filiera cercando di valorizzare tutto ciò che è valorizzabile. Quando raccogliamo la plastica circa il 45% non è avviabile a riciclo e va a recupero energetico dove esistono gli impianti o peggio – come in Sicilia – va in discarica con aggravio di costi. Le scelte politiche che portino alla costruzione di tutti gli impianti per il ciclo integrato dei rifiuti bisogna assumersi la responsabilità di farle”.
Spesso, infatti, il dibattito pubblico che colpisce allo stomaco della popolazione è artatamente influenzato da associazioni che si definiscono ambientaliste e che da anni mettono in discussione la sicurezza degli impianti e quello che ne può derivare in termini di salute senza mai preoccuparsi dell’alternativa prevalente – la discarica. Ma i dati dicono altro. “Dall’esame comparativo della letteratura scientifica – spiega Margherita Ferrante – docente di igiene e medicina preventiva – risulta che tutti gli impianti ben costruiti e ben gestiti, soprattutto i super controllati termovalorizzatori, hanno degli effetti molto limitati sulla salute delle persone e che la discarica ha il maggiore potenziale offensivo, come del resto ben evidenziato dalla gerarchia europea dei rifiuti che la pone come ultima soluzione e solo per una quota minima del rifiuto. Opporsi agli impianti significa allora rafforzare i presupposti per una mala gestione che si basa sull’insufficienza dei territori per alimentare trasporti di grandi quantità di rifiuto, redditizi per alcuni ma certamente insostenibili sul piano economico e ambientale per la comunità. E questo è un rischio gravissimo sempre più all’orizzonte quando la quota massima prevista per lo smaltimento nelle discariche regionali – oggi in continuo ampliamento – non potrà superare per direttiva europea il 10%. Se non pensiamo per tempo oggi a chiudere il ciclo la strada segnata, e già più volte annunciata, sarà quella dell’export, costoso e ben più impattante. Oltre il 60% dei rifiuti vanno a finire in Cina e in tutta questa gestione la parte di illecito è importante: si stima che su 60mila euro circa 6mila vengono gestiti in maniera illegale. Di queste grosse problematiche e conseguenti rischi per la salute e l’ambiente pare però non si interessino gli accesi oppositori ai termovalorizzatori siciliani”.