ROMA – Una questione che da molto tempo costituisce materia di contenzioso tra gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e i contribuenti, riguarda il caso in cui un soggetto Iva richiede il rimborso dell’imposta avendo sostenuto spese “incrementative” (regolarmente fatturate a suo nome) per la costruzione o l’ammodernamento di beni strumentali che si trovano però in un terreno che non è di sua proprietà ma del quale ha la disponibilità in virtù di un contratto (come l’affitto) oppure di un diritto reale di godimento come ad esempio il comodato o il diritto di superficie (in caso di costruzione di immobile).
Il problema riguarda anche il frequente caso di soggetti che operano nel regime dell’agricoltura che eseguono opere (fabbricati, serre, impianti frutticoli o viticoli, ecc…) su terreni condotti in affitto (o comodato), oppure il caso di società semplici che effettuano miglioramenti su terreni dei soci, avendo loro conferito nella società il diritto personale di godimento oppure stipulato con la società medesima un contratto d’affitto.
Gli uffici fiscali, in questi casi, sostengono che l’articolo 30 del Dpr 26 ottobre 1972 n. 633, prevede la possibilità del rimborso Iva quando si tratta di “imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili”. Ed è proprio il riferimento al concetto di “beni ammortizzabili” che ha dato luogo all’interpretazione dell’Agenzia contraria al rimborso dell’Iva, ritenendo che qualunque acquisto, non inquadrabile nel concetto fiscale di bene ammortizzabile, pur detraibile dal soggetto che l’aveva effettuato nell’esercizio di impresa, arte o professione, non sia rimborsabile per il divieto contenuto nel citato articolo 30.
Più in particolare, l’Agenzia, con Risoluzione numero 179/2005, ha ritenuto che le spese incrementative su beni di terzi sono capitalizzabili e iscrivibili nella voce “altre immobilizzazioni immateriali” qualora le opere realizzate non sono separabili dai beni di terzi cui accedono, ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità, giungendo alla conclusione che le spese per il miglioramento, trasformazione o ampliamento di beni di terzi concessi in uso o comodato, qualora si estrinsechino in opere non suscettibili di autonoma utilizzabilità, non potendo le opere realizzate essere rimosse al termine del periodo di utilizzo, non sono iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali e, conseguentemente, l’Iva relativa non è rimborsabile ai sensi del citato articolo 30.
Recentemente, però, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 13162 del 14/05/2024, conformemente a copiosa giurisprudenza della stessa Cassazione e dei Giudici di merito, ha manifestato un avviso completamente diverso da quello dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo possibile il rimborso dell’Iva anche in caso di effettuazione di lavori di ristrutturazione di fabbricati e impianti su terreno non di proprietà del contribuente, ma che lo stesso detiene in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo. In pratica, la Cassazione, a sezioni unite, questa volta ha affermato in modo inequivocabile, che il rimborso Iva in questo caso è possibile, pur se fuori della previsione letterale di cui all’art. 30, terzo comma, lettera c), Dpr 633/1972, fuori, cioè, dalla disposizione che circoscrive l’ipotesi del rimborso Iva al solo acquisto e importazione di beni considerati ai fini delle imposte sui redditi “ammortizzabili”, formulando il seguente principio di diritto: “L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’Iva per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta”.
Ciò in quanto, proseguono i Supremi giudici, all’espressione “acquisto di beni ammortizzabili”, utilizzata dal Legislatore nell’art. 30, comma 3, let. c), Dpr n. 633/1972, va attribuito un significato ampio di “disponibilità” di tali beni, in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso (ovvero, la detenzione) per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo, ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa. Praticamente, per inquadrare correttamente il significato dell’espressione “beni ammortizzabili”, è necessario fare riferimento alla nozione – ampia e sostanzialmente economica – di “beni di investimento” utilizzata nella Direttiva (art. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, art. 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, art. 189, lett. a), 190, direttiva 2006/112/Cee). La disposizione legislativa in commento, pertanto, va estesa ai beni che, pur strictu senso non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, quali investimenti (beni strumentali).