Inchiesta

Rischio nuova Cassa per il Mezzogiorno, Svimez: “Zes unica ma con interventi mirati”

La questione meridionale non esiste, lo abbiamo scritto in più occasioni. Esiste un’unica, grande questione nazionale che vede nel Sud una straordinaria occasione, ad oggi mancata, di rilancio del nostro Paese. Lo hanno scritto illustri economisti del calibro di Marco Vitale, autore tra l’altro di un illuminante volume dal titolo “Il Sud esiste”, a cui va riconosciuto il merito di aver offerto una chiave di lettura “nuova” del Mezzogiorno, refrattaria ai luoghi comuni e finalmente consapevole delle potenzialità di un’area da cui può dipendere il futuro di tutta la nostra Penisola.

Un primo, forse ancora troppo timido, approccio alla “questione” poc’anzi menzionata arriva dal Governo Meloni che proprio qualche giorno fa ha varato un pacchetto di provvedimenti che si spera possano gettare le basi per l’agognato cambio di rotta di cui il Mezzogiorno ha disperato bisogno.
Stiamo parlando della Zes unica, la nuova misura prevista nel Decreto per il Sud, che dal primo gennaio 2024 accorperà in una sola struttura tutte le zone economiche speciali del meridione d’Italia. Non tutti però accolgono con favore la scelta del Governo Meloni.

“Le nuove Zes estese a tutto il Mezzogiorno rappresentano un cambio di visione che non possiamo condividere” afferma, come riporta un comunicato, il presidente di Conftrasporto-Confcommercio Pasquale Russo, per il quale, allargare il raggio d’azione delle Zone Economiche Speciali a tutti i territori del Sud rischia di indebolire le potenzialità di crescita economica del meridione.
Forti perplessità anche dalla Cgil Sicilia secondo la quale, la Zes unica cancella le esperienze precedenti che stavano già dando i primi frutti. Secondo il sindacato, inoltre, la centralizzazione presso la Presidenza del Consiglio, di risorse e assegnazioni, toglie autonomia e ruolo alle Regioni e ai Comuni aprendo spazi al ben noto vizio italico della discrezionalità. Più possibilista l’Ugl Catania che, da un lato ha espresso rammarico per un lavoro già avviato e che stava producendo i suoi frutti, ma anche “speranza e fiducia” che la cabina di regia unificata possa aprire spiragli per le aree montane, che vivono ancora una condizione di marginalità, e un approccio nuovo, produttivo, nei confronti di realtà locali che prima erano escluse dalla perimetrazione della Zona economica speciale.

Sull’argomento, il Quotidiano di Sicilia ha intervistato il Direttore dell’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno (Svimez), Luca Bianchi, il quale, almeno in parte, mostra più ottimismo sui possibili risvolti del provvedimento.

Direttore Bianchi, l’accorpamento delle Zes nel meridione in un’unica zona sta suscitando polemiche. Lei le ritiene fondate?
“Bisogna aspettare come sarà la reale attuazione. Io credo che, complessivamente, possa essere un’opportunità perché supera un problema di perimetrazione che le ha inizialmente caratterizzate. A questo punto, se lo strumento si stabilizza e sappiamo che tutto il Sud è Zes, può essere in realtà per le imprese un elemento di chiarificazione. Dunque, se è ben realizzata può diventare un’opportunità”.

La Cgil regionale, in particolare, paventa la centralizzazione di risorse e assegnazioni. Lei crede che possa essere un problema o no?
“Un solo sportello di autorizzazione richiederà un grande impegno da parte del centro, il problema potrebbe derivare solamente da questo. Quindi dipenderà tutto dalla capacità amministrativa che verrà messa in campo. C’è bisogno di omogeneità nello strumento e finora le otto Zes hanno manifestato profonde diversità nella capacità attuativa, dunque, richiamare ad un coordinamento centrale più forte, in linea di massima, potrebbe essere anche una soluzione. Tutto dipenderà, come al solito, dalla capacità attuativa”.

Lo stesso sindacato teme, ad esempio, che si perdano le esperienze precedenti che stavano dando frutti. Secondo lei si corre questo rischio?
“Da una parte c’è il vantaggio che consiste nel il credito d’imposta esteso e stabilizzato per tutto il Sud, d’altra parte lo strumento chiaramente diventa un’altra cosa, viene snaturato perché è legato soprattutto alle aree portuali e alla logistica e quella specifica rischia di perdersi. Quindi noi come Svimez diciamo: va bene la Zes unica però bisogna accompagnarla ad interventi mirati e specifici per valorizzare le potenzialità legate alla logistica e alla portualità. Allo stato attuale, però, la perimetrazione fa sì che le imprese che si trovano molto vicine, alcune entrano nelle Zes e altre no. Dunque, la zona unica può diventare un elemento di semplificazione e di chiarimento, in quanto tutto il Sud diventa Zes e non c’è obbligo di collocarsi in aree predeterminate”.

La dotazione di un miliardo e mezzo ogni anno ritiene che sia sufficiente?
“Questo probabilmente no, nel senso che la quantità di investimenti previsti potrebbe richiedere delle coperture aggiuntive. Però, secondo me, la vera chiave risiede nella capacità di attuare gli investimenti, che erano previsti nelle Zes, che andavano molto a rilento; parlo in particolare degli investimenti infrastrutturali, necessari a dotare le aree di infrastrutture adeguate. È un lavoro ancora molto in corso, quindi bisognerà attendere quello che sarà il percorso delineato dal Governo”.

Lavoro: il grande nodo da sciogliere anche in Sicilia.
Nuccia Albano: “No ad un assistenzialismo perpetuo”

Qualche giorno fa, commentando a caldo il Dl Sud, l’economista PIetro Busetta ha detto al QdS: “Al Mezzogiorno servono tre milioni di nuovi posti di lavoro”. È l’occupazione il grande nodo da sciogliere, lo sa bene anche Nuccia Albano, assessore regionale della Famiglia, del Lavoro e delle politiche sociali.
Assessore Albano, di recente avete annunciato iniziative a favore dei siciliani emigrati anche se l’ideale sarebbe se restassero in Sicilia.
“Il lavoro lo creano le imprese attraverso il libero mercato. La società si è trasformata, siamo nell’era digitale da oltre un ventennio. Bisogna sapere cogliere dai fatti negativi le opportunità di lavoro, mi riferisco alla guerra russo/ucraina da dove è nata l’impellente necessità, tra le altre cose, di approvvigionamento delle risorse energetiche alternative, della intensificazione della produzione di cereali, sementi, frumento, in particolare. Inoltre, i rifiuti, la differenziata, il riciclo, sono materie che creano nuove opportunità. Ogni giovane dovrebbe interrogarsi su questo aspetto e guardare a questi nuovi mondi per cercare una propria dimensione professionale che risponda ad un’offerta di lavoro. Non si può pensare di essere assistiti per tutta la vita. Un’altra opportunità che può essere colta è quella della costruzione del ponte di Messina: ci sarà una grande richiesta di professionalità, come ad esempio i saldatori subacquei e anche la formazione potrebbe essere indirizzata in questa direzione. Inoltre, le nostre campagne, i nostri territori, le nostre aziende non possono essere alla ricerca di manodopera che non trovano. Lo Stato e la Regione devono fare la propria parte per annullare quel divario sociale ed economico, creare pari opportunità tra la gente e abbattere quel gap che mette le imprese siciliane nelle condizioni di non essere competitive nel libero mercato internazionale. Le risorse della Formazione devono guardare allo stesso obiettivo, a questi nuovi orizzonti, per favorire la formazione dei giovani, per facilitare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro. Spero nei ritorni di giovani in Sicilia, il mercato del lavoro nell’Isola non ha offerto loro la possibilità di trovare occupazione. Sostengo che i giovani debbano partire, fare esperienze all’estero, essere competitivi in Europa e nel mondo ma devono tornare per far crescere la Sicilia. A vantaggio del ritorno, per cui sono fiduciosa, c’è l’attaccamento alla nostra terra, al nostro mare, al sole e alla cucina che non hanno eguali nel mondo”.

A suo avviso che impatto ha in Sicilia la nuova iniziativa del governo Meloni su formazione e lavoro? Si possono già fare le prime stime?
“La realtà imprenditoriale siciliana, anche per questioni geografiche, non è uguale al resto d’Italia. Ci sono criticità legate alla insularità: i costi per le imprese dei trasporti e produzione sono superiori a quelli che incontrano altre imprese per cui in Sicilia non c’è una presenza di grosse imprese, ma il mondo imprenditoriale nostrano è fatto di piccole imprese, soprattutto nel servizio turistico, alberghiero e agricolo. E inoltre, la maggior parte è a gestione familiare. Non è un caso che il numero più alto di percettori del Rdc è presente al Sud e in Sicilia. Al nord, dove il dato occupazionale è più alto, i ragazzi, dopo la scuola dell’obbligo, frequentano quelle professionali e vengono subito richiesti dal mercato del lavoro. In Sicilia questo non avviene perché l’offerta di lavoro è scarsa. Le imprese per competere con quelle del nord sono costrette a diminuire il numero degli operatori e non garantire stipendi alti oppure offrire lavoro part time, contenendo i costi di produzione e commercializzazione. La formazione è stata una grande fonte di finanziamenti che, è noto, è servita più ad occupare i formatori che i formati. Ciò ha generato una cultura nei ragazzi che quel tipo di formazione non serviva a niente perché non dava la possibilità di uno sbocco occupazionale. Dobbiamo invertire questa tendenza, il giovane deve essere formato e deve guardare alle nuove opportunità che il mercato del lavoro offre. Il mio messaggio ai giovani è quello di guardare al mercato del lavoro a 360°, formarsi nelle professioni dove il mercato offre lavoro. Fare una stima dell’impatto che l’iniziativa del governo Meloni può avere in Sicilia è impossibile, mi auguro che l’azione del governo nazionale tenga conto delle peculiarità che ho espresso”

Che sinergia ha attivato con l’assessore Turano sul fronte della formazione professionale?
“C’è piena sinergia con il presidente della Regione Renato Schifani, e con l’assessore Mimmo Turano che nasce da un principio: fino a quando la formazione non avrà come riferimento quella che è la domanda di lavoro sarà un fallimento. Mi permetto di aggiungere che se i potenziali formati, aspiranti al lavoro, non prendono coscienza dell’offerta di lavoro e quindi volgono lo sguardo alle professioni che vengono richieste dalle imprese, seguendo i corsi di formazione offerti, non abbiamo raggiunto lo stesso l’obiettivo. Il lavoro non è un sorteggio o un obbligo che l’amministrazione può inventarsi, il lavoro come dice la Costituzione, obbliga la politica a creare i presupposti e gli aiuti, abbattere le barriere che possono essere di ostacolo all’inserimento dei soggetti nel mondo del lavoro. Se la politica e le persone che aspirano a trovare il posto di lavoro non capiscono che il lavoro in un mercato libero, si trova, a fronte di una richiesta delle imprese, nella competitività delle persone formate di rispondere alla domanda, non raggiungeremo mai l’obiettivo. È mortificante sentire dalle statistiche che le imprese non trovano lavoratori a fronte di un tasso di disoccupazione che in Sicilia è tra i più elevati”.