Nel Mezzogiorno italiano oltre il 40% della popolazione di Calabria, Sicilia e Campania è a rischio povertà, in grave deprivazione materiale o vive in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa.
Stando a quanto certificato dai dati Eurostat la Sicilia si piazza al 238° posto tra le 243 regioni europee che hanno fornito dati inerenti il 2023. Peggio dell’Isola hanno fatto soltanto Ceuta (Spagna) al 41,8%, la Campania al 44,4%, Sud-Est (Romania) al 45,3%, la Calabria al 48,6%, e ultima della classe la Guyana (Francia) al 60,3%.
Tre regioni del Sud Italia, dunque, agli ultimissimi gradini europei, cui però fanno da contraltare altre tre regioni italiane ai primi posti: la provincia autonoma di Bolzano che è la leader indiscussa della classifica con appena il 5,8% della popolazione nelle su citate situazioni, seconda l’Emilia Romagna al 7,4% e al settimo posto la provincia autonoma di Trento al 10,6%.
Dietro tali numeri e percentuali incombe spesso qualche indugio in merito al significato stesso di “rischio povertà”, “grave deprivazione materiale” e “intensità di lavoro molto bassa”. Eurostat specifica nell’ultimo rapporto che “sono a rischio di povertà le persone con un reddito disponibile equivalente inferiore alla soglia di rischio di povertà, fissata al 60% del reddito disponibile equivalente mediano nazionale (al netto dei trasferimenti sociali)”.
La deprivazione materiale copre, invece, “gli indicatori relativi alla tensione economica e ai beni durevoli”. Le persone in grave deprivazione materiale hanno condizioni di vita gravemente limitate dalla mancanza di risorse, sperimentano almeno quattro dei nove seguenti elementi di privazione: non possono permettersi: di pagare l’affitto o le bollette; mantenere la casa adeguatamente calda; affrontare spese impreviste; mangiare carne, pesce o un equivalente proteico ogni due giorni; una settimana di vacanza fuori casa; un’auto; una lavatrice; una TV a colori, oppure un telefono.
Le persone che vivono in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa sono quelle di età compresa tra 0 e 59 anni che vivono in famiglie in cui gli adulti (di età compresa tra 18 e 59 anni) hanno lavorato meno del 20% del loro potenziale lavorativo totale nell’ultimo anno.
Sulla base di queste definizioni, Eurostat stila report e percentuali (tabella in basso) che ci restituiscono la fotografia di un’Ue con differenze socio-economiche macroscopiche tra Paesi “ricchi” e paesi “poveri” e con grandi criticità nel confronto tra regioni appartenenti alla stessa nazione.
Tornando al Belpaese, e in particolare il Mezzogiorno, incombe spesso sui numeri ufficiali la “variabile” dell’evasione e del lavoro nero. L’intensità di lavoro molto bassa, per esempio, potrebbe essere un indicatore più veritiero a Bolzano di quanto non lo sia in Sicilia, Calabria e Campania interessate da decenni da un diffuso ricorso al lavoro nero o a contratti che non rispecchiano l’effettivo monte ore e guadagno del lavoratore.
Per quanto riguarda i dati nazionali, la performance peggiore dell’Unione europea spetta alla Romania col 32% della popolazione che secondo Eurostat è a rischio di povertà o in grave deprivazione materiale o vive in famiglie con un’intensità di lavoro molto bassa. Seguono Bulgaria (30%), Spagna (26,5%), Grecia (26,1%) e Lettonia (25,6%). Miglior piazzamento per la Repubblica Ceca (12%), Slovenia (13,7%), Finlandia e Norvegia (15,8%) e Polonia (16,3%). Le tre “grandi” d’Europa registrano valori che vanno dal 20,4% della Francia, passando per il 21,3% della Germania per arrivare al 22,8% dell’Italia.
Ritornando alla Sicilia e all’evoluzione nel tempo dei parametri, l’Isola è passata dal 45,4% della popolazione che nel 2019 era coinvolta dai citati rischi al 41,4% del 2023. Un piccolo passo in avanti che altre regioni non sono riuscite a compiere, peggiorando, peraltro, performance deludenti: la Calabria, ad esempio, è passata dal 34,8% del 2019 al 48,6% del 2023. Molto bene le prime della classe con la provincia autonoma di Bolzano che dal 10,4% del 2019 si trova nel 2023 al 5,8%, l’Emilia Romagna che passa dal 14% di cinque anni fa al 7,4% registrato l’anno scorso e Varsavia che passa dal 12,9% all’8,9%.