Impresa

Ristoratori, zona gialla e aperture serali per uscire dalla crisi

‘Basta, non siamo noi gli untori’. È l’urlo di rabbia degli operatori dell’ho.re.ca., il settore che accomuna le imprese alberghiere, della ristorazione e dell’approvvigionamento di cibi e bevande. Dall’inizio della pandemia per questa composita realtà imprenditoriale la crisi avanza inesorabile. E si lega ai tanti, forse inevitabili, passi falsi del precedente governo nel gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti. A questi però adesso fanno da contraltare dati ufficiali che per gli operatori della categoria suonano come una beffa.

Anzitutto la relazione del CTS (Comitato Tecnico Scientifico), desecretata a metà novembre, che indicava l’opportunità di rafforzare e adeguare ai criteri di sicurezza i trasporti pubblici e non l’urgenza di chiudere bar e ristoranti. Indirizzo non seguito dall’ex presidente Giuseppe Conte.

GLI AMBIENTI CON MAGGIORI CONTAGI

E poi una recente indagine pubblicata alcune settimane fa da un pool di scienziati in Lombardia (la regione più colpita dal coronavirus) che fa luce sullo scarso impatto dei pubblici esercizi nella creazione di focolai. Secondo questo studio l’ambiente preponderante dei contagi sono le famiglie, con oltre il 72% dei casi, seguiti, con grande distacco, dalle scuole (9,8%), gli ambienti di lavoro (4,7%), le case di cura (4,5%) e, scendendo ancora, i luoghi di incontro sociale, i centri sportivi e appunto, i bar e i ristoranti, che si attesterebbero sull’0,8% dei focolai individuati. Una percentuale che induce ormai a prendere atto che il problema non sono gli orari in cui i ristoranti dovrebbero lavorare, bensì l’efficacia dei controlli sul territorio. Tesi affermata pochi giorni fa in tv anche dall’immunologa Alessandra Viola.

NEL 2020 CALO DEL FATTURATO DEL 59%

Intanto, da ormai quasi un anno, il settore appare tramortito, oltre che dalla chiusura degli alberghi e da quella serale (dalle ore 18) di ristoranti e pub, enoteche e bar, anche dalla paralisi di tantissime altre attività a partita Iva.

Salvo Longo

“In Sicilia nel 2020 il settore ristorazione ha fatto segnare una perdita media di fatturato del -59% rispetto all’anno precedente. Ma sono stati tanti i casi di imprenditori che, sempre su base annua, hanno registrato un crollo dell’80 per cento”, dice Salvo Longo, titolare del ristorante Salmoriglio, sul Cassaro di Palermo e vicepresidente nazionale di M.I.O. Italia, il Movimento Imprese Ospitalità, nato durante il primo lockdown 2020.

Tra gli imprenditori della ristorazione, così come tra i loro dipendenti, il livello di scoramento è ormai ai limiti di guardia. Tanti di loro hanno chiuso definitivamente i battenti e per molti altri non è campata per aria la possibilità di non tornare più al lavoro una volta che i divieti verranno nuovamente sospesi.

Gli imprenditori del settore puntano il dito contro il pasticciato adattamento dei provvedimenti governativi al subdolo andamento dei contagi, tradottosi in ristori che ancora non arrivano.

Inoltre la pressione fiscale è diventata insostenibile per chi è stato costretto a chiudere o comunque a somministrare cibo e bevande a ritmi e volumi ridotti. Ad appesantire lo scenario, si aggiungono i solleciti per il pagamento dei canoni d’affitto dei locali (in Sicilia l’80% degli imprenditori commerciali esercita l’attività tra mura non di proprietà) e le scadenze delle bollette.

Gli operatori del settore chiedono interventi redistributivi urgenti. Non solo compensazioni economiche per la chiusura dei locali. Ma anche il riconoscimento della sospensione del pagamento di alcuni tributi. “Quattro in particolare: la tassa sui rifiuti, la parte di contribuzione previdenziale per il dipendente a carico del datore di lavoro (pari al 23,81%) e poi la tassa sulla pubblicità delle insegne e l’imposta della Siae per la musica di sottofondo, visto che sia i segni distintivi dei locali che gli apparecchi audio e video abbiamo dovuto tenerli spenti per mesi” – reclama Longo.

Se il nuovo governo guidato da Mario Draghi non comincerà presto a distribuire risorse, lo scenario rischia di arroventarsi. Marzo sarà decisivo. A inizio mese scade l’ultima proroga delle cartelle esattoriali mentre il 31 toccherà al blocco dei licenziamenti.

Le chiusure serali – ormai è un coro che si alza da tutti i sindacati – si stanno rivelando come un rimedio peggiore del male. Ma è stato soprattutto l’alternarsi di chiusure e aperture legate al cambio di colore stabilito per regioni o città in base all’indice dei contagi, a aver prodotto contraccolpi dannosi, se non distruttivi sulle aziende per un perno del Made in Italy – e ancor più del Made in Sicily – qual è l’ho.re.ca. Ovvero un comparto variegato che include anche fabbricanti di prodotti alimentari, fornitori e agenti di commercio.

Amedeo Monopoli

“Dopo il primo lock down abbiamo anche dovuto sostenere spese di adeguamento ai nuovi criteri di sicurezza imposti dai decreti – dice Amedeo Monopoli, titolare di una grossa enoteca a Modica, costretta a chiudere due volte nel 2020 e ancora inattiva.  “La spesa per ampliare lo spazio esterno del locale e dotarlo di un altro bagno e di uno spogliatoio per il personale è stata di 23mila euro: sostenuta nella speranza di continuare a lavorare mettendo a disposizione spazi più sicuri. Invece siamo stati costretti a chiudere di nuovo. Uno stop nel mio caso durato 6 mesi: tutti a reddito zero. Come si può andare avanti così?”

In questa situazione d’incertezza – sottolineano al M.I.O. – se da qui alle prossime settimane il governo nazionale non consentirà la riapertura serale, il 50% delle aziende siciliane della ristorazione che versano in stato di crisi rischia la chiusura definitiva. Perché ci sono procedure di sfratto in corso, per affitti non pagati. E tantissimi dipendenti non ancora retribuiti: “I miei non hanno visto un centesimo di cassa integrazione – lamenta Monopoli-. Nel primo lockdown ho continuato a pagare gli stipendi di marzo aprile e maggio attingendo a risparmi personali. Ma col profilarsi della seconda chiusura sono stato costretto a ricorrere all’integrazione salariale: sistema che non sta funzionando affatto”.

Patiscono anche i professionisti della manipolazione degli alimenti. “La ristorazione è un ingranaggio centrale della filiera agroalimentare. Se si ferma, si ferma anche il mondo agricolo e l’intera rete dei fornitori e agenti di commercio a questo collegata. Vale soprattutto per una regione come la Sicilia, dove l’economia reale ruota su turismo e agricoltura” – considera lo chef palermitano Alessandro Petrillo – . Finora purtroppo le esigenze del nostro comparto non sono state valutate con la dovuta attenzione”. L’auspicio è che ciò avvenga con il nuovo governo, ma intanto è un fatto che da novembre il decreto ristori è fermo al Senato. In dieci mesi Petrillo ha dovuto fermare la sua attività in cucina per due volte, percependo solo 2.600 euro a titolo di ristoro. “Per il resto- racconta – sono costretto a vivere con qualche risparmio. Una situazione inconcepibile dopo quasi 30 anni di sacrifici”.

Salvo Renda

Sulla stessa linea Salvo Renda, chef in un noto locale di Bagheria: “Banchettistica, eventi, cerimonie, turismo congressuale sono ambiti paralizzati dall’inverno dello scorso anno. In questa situazione potranno resistere solo i ristoranti consolidati nel tempo oppure quelli dotati anche di pizzeria in grado di continuare a somministrare in orari serali attraverso il servizio di delivering. Ma, così continuando, i locali che vivono solo di incassi giornalieri spariranno dal mercato”.

Angela Foti

Dall’intero comparto ricettivo, che con la gastronomia costituisce la principale calamita del turismo, lo tsunami della pandemia si estende anche a quello agricolo, che inizialmente ne sembrava preservato. E in linea con la necessità di tutelare la filiera c’è una proposta di legge che punta a istituire un fondo ristori sul modello di quello attivato su scala nazionale dall’ex ministra Bellanova. A avanzarla la vice presidente dell’Ars Angela Foti. “La misura – spiega – consentirebbe il rimborso fino al 70% del caricamento di fatture di prodotti siciliani. Più questi sono freschi e deperibili più l’aiuto sarà consistente. In questo modo si tratterrebbero economie nel territorio regionale”. L’auspicio – dice Foti – è che questa proposta venga inserita nella Finanziaria regionale, al voto il 28 febbraio”. Data però l’insufficienza di risorse regionali il problema sarà il rapido reperimento di altre fonti di finanziamento. “Queste – conclude Foti – potrebbero essere i fondi non ancora utilizzati del Poc(Programma Operativo Complementare 2014-2020) adoperati per i Bonus Sicilia”.

Antonio Schembri