Cultura

Roberta Finocchiaro con la musica nel sangue, da Catania agli Usa

Catanese, 27 anni, cantante e chitarrista, è volata negli Stati Uniti per registrare il suo terzo album, “Save Lives With the Rhythm”, assieme Steve Jordan, già batterista dei Blues Brothers. Roberta è figlia e nipote d’arte: il nonno Gino è fisarmonicista e pianista nelle prime formazioni dei Beans. Salvo, il padre, suona da anni il pianoforte con Mario Biondi quando si esibisce in Sicilia. Il 2020, per lei, è stato un anno incredibile e pieno di soddisfazioni. Ci siamo fatti raccontare da lei la sua storia e la sua musica.

Colpisce la tua scelta di scrivere e cantare in inglese. Quando nasce questa tua scelta artistica?

“Nasce da quanto ero piccola. A casa mia si ascoltava molta musica. Musica italiana ma anche, e soprattutto, musica internazionale: tanto jazz, tanto blues e poi i Beatles, Steve Wonder ma anche Joni Mitchell. Questa è stata la musica che mi ha accompagnato nella mia crescita.

Quando ho iniziato a suonare, intorno ai quindici anni, ho iniziato a suonare questa musica che è diventata parte del mio modo di essere, forse addirittura del mio DNA perché la musica più la ascolti più diventa parte di te. La musica americana è diventata l’essenza del mio modo di creare melodie e musica in generale. Questa passione è cresciuta come me, giorno dopo giorno”.

Sei catanese, di quella Catania in cui, negli anni ’80 e ’90 soffiava il vento rock di Francesco “Checco” Virlinzi, grande animatore culturale della città e creatore di “Cyclope Records”, coraggiosa e importante etichetta discografica indipendente che ha prodotto decine di artisti fino al 2000, anno della sua morte. La tua etichetta, “Tillie Records”, è di Simona Virlinzi, la sorella di Francesco. Come vi siete incontrate?

“Ci siamo conosciute nel 2014 quando Simona è venuta ad ascoltare un mio concerto in un teatro a Catania. Le avevano parlato di me, della mia musica e lei venne a sentirmi. Da quella sera è iniziato il nostro percorso comune. Abbiamo iniziato a lavorare al mio primo album, “Foglie Di Carta”, uscito il 30 settembre 2016 e nel 2017 siamo andate a Memphis (Tennessee) dove, al Sam Phillips Recording, abbiamo registrato “Something True” il mio secondo album con la partecipazione di musicisti americani. Alcuni di questi, in particolare, mi hanno accompagnato negli studi di registrazione e nel tour. Ho avuto l’onore di suonare con uno dei miei musicisti preferiti John Mayer, con il batterista Stephen Chopek e il bassista David LaBruyere, musicisti che hanno anche curato la produzione artistica dell’album.

Siamo poi tornate negli Stati Uniti nel settembre del 2019 per registrare il terzo album “Save Lives With The Rhythm” New York con la produzione di Steve Jordan che è stato pubblicato il 5 giugno 2020. Il disco è stato registrato al Brooklyn Recording a New York e missato al Germano Studios di Broadway. Oltre a Steve Jordan hanno collaborato Sean Hurley al basso, Clifford Carter alle tastiere, Dave O’Donnell. In alcuni brani i fiati sono suonati da Eddie Allen, Patience HigginsClifton Anderson. C’è anche la fisarmonica di nonno Gino e il violino di Olen Cesari.

In mezzo sono capitate moltissime esperienze. Nel Dicembre 2017 ho vinto il “Fiat Music” di Red Ronnie e mi sono esibita per la prima volta al teatro Ariston di Sanremo e nel Gennaio 2018 ho avuto l’onore di esibirmi al “Light Of Day” ad Asbury Park, nel New Jersey. In questi anni ho ha avuto la fortuna di poter incontrare molte persone, molti musicisti e ognuno di questi incontri mi ha fatto crescere musicalmente”.

Quando hai incontrato artisticamente il “Boss”, ossia Bruce Springsteen?

“Per questo devo ringraziare Simona. È lei che me l’ha fatto ascoltare e conoscere. Simona mi ha portato a un suo concerto ed è stato “amore a prima vista”. Ho scoperto il suo modo di essere artista che m’ispira moltissimo, sia nella vita quotidiana sia sul fronte professionale. Rappresenta quello che io penso debba essere un vero artista. Mi piace per come scrive i suoi brani, per come racconta le storie delle persone. Lo fa con una profondità incredibile e in modo sincero e puro”.

La produzione del tuo secondo album, come ci raccontavi, è stata realizzata a Memphis. Come nasce la scelta?

“Per Simona e per me, è stato naturale pensare all’America per realizzare “Something True”. Lì abbiamo potuto registrare quel sound che ci è sempre piaciuto e che ben si adattava al disco. Memphis è piena di storia della musica, è il posto in cui è nata la musica di Elvis, quella di Johnny Cash ma anche il funky, il soul. Memphis è, per me, un posto magico che mi ha permesso di assorbire la sua energia. Nell’ultimo album invece, “Save Lives With The Rhythm” che è stato registrato a New York, c’è un altro tipo di sound americano. Suona più soul e rispetta molto di più il groove di New York, un sound che in questo momento mi rappresentava di più. Steve Jordan è sempre stato uno dei miei batteristi preferiti. È un personaggio incredibile che ha suonato con John Mayer, con i Blues Brothers, con Clapton. Jordan ha fatto la storia del groove americano, è un artista umile che in studio mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato ad essere più naturale possibile perché tutto quello che esce in maniera naturale è la parte migliore”.

Dopo aver suonato con musicisti di fama internazionale, qual è il tuo rapporto con i musicisti italiani?

“La musica deve essere suonata con il cuore. Sono stata fortunata ad avere avuto questa possibilità. Anche in Italia ci sono musicisti incredibili. La mia attuale band è tutta italiana, la maggior parte di loro vive e lavora a Roma. Certo che, proprio perché la musica che amo viene dagli States, aver potuto suonare e farmi produrre gli album dai musicisti che hanno scritto a lettere cubitali nel libro della storia della musica internazionale quel sound è stata un’esperienza incredibile che mi rimarrà incollata addosso per tutta la vita”.

Parliamo di “Save Lives With The Rhythm”, il tuo ultimo album. Undici brani che sembrano il racconto della tua vita.

“Più che il racconto della mia vita, quest’album racconta un periodo della mia vita, una mia crescita personale. Sono gli argomenti che riguardano non solo la mia generazione ma racconto anche del senso della vita, parlo di amore, di speranze, di futuro. Parlo di cosa significhi essere giovani adesso. Soprattutto per noi giovani il futuro e la sua percezione sono diversi da quella che si poteva avere diversi anni fa, in questo album ho voluto lanciare il messaggio che è necessario non arrendersi mai, che è necessario trovare dentro noi la speranza, rimboccarsi le maniche, credere nei nostri sogni e aver la forza di affrontare anche il dolore, quando sei costretto a viverlo”.

Nell’album c’è una forte vena rock ma è anche pieno di sfumature soul e funky. E’ questo il sound di Roberta Finocchiaro?

“I miei brani sono il frutto di tutta la musica che ho ascoltato nella mia vita. Dentro di me c’è la musica degli anni ’50, quella degli anni ’60, quella degli anni ’70 e ‘80. E’ tutto dentro di me ed è questo che crea la mia musica”.

Il 2020 sarà, inevitabilmente ricordato come l’anno della pandemia ma a te ha portato molte soddisfazioni.

“Oltre all’uscita del mio ultimo album, nell’estate ho potuto portare in giro la mia musica. Ho suonato con Alex Britti, con Mario Biondi. Ho vinto il contest lanciato sui social da Alex Britti e il 18 Agosto ho “incassato” il mio premio al “Festival di Piombino” aprendo il suo concerto e suonando con lui “7000 caffè”. Ho anche partecipato al primo contest italiano dedicato a Bruce Springsteen, “Cover Me”, con la canzone “New York City Serenade” vincendo il premio della critica. Si è trattato di un’altra esperienza pazzesca che mi ha avvicinato ancora di più al mondo springsteeniano che è composto da persone speciali. Il brano che ho scelto è difficilissimo. La prima volta che l’ho ascoltato, nell’esibizione del Boss, mi sono talmente emozionata che sono arrivata a piangere proprio dall’emozione che mi ha trasmesso. Non amo in modo particolare suonare cover ma questa canzone sono riuscita a farla mia perché mi ha catturato completamente e quindi a sviluppare l’arrangiamento che ho presentato solo con la chitarra. Ho un rapporto quasi simbiotico con la chitarra che, negli anni, è cresciuto e mi permette di raccontare il mio mondo proprio grazie a lei. Dalla chitarra riesco a trasmettere alle persone quello che non le parole non riesco a dire o spiegare. Dalla chitarra riesco a tirar fuori i miei racconti e le mie visioni, i paesaggi, le emozioni, i racconti dei miei viaggi. Rappresenta il mio modo personale di comunicare. Non la lascierò mai, sarà sempre la cosa più bella che ho”.

Progetti per il 2021? Racconterai anche questa pandemia?

“Questo, per me, è un momento di riflessione. Sto scrivendo, lavorando a nuove idee, a nuova musica. Questa, ormai, è la mia vita e ci sono nuove storie che ho bisogno di raccontare.

Racconterò la vita e quello che viviamo, ma soprattutto il mondo interiore che ci troviamo a vivere in questo periodo che è pieno di emozioni che ho bisogno di comunicare. Non vedo l’ora di ricominciare a suonare dal vivo, di poter guardare negli occhi il pubblico. Ho anche voglia di viaggiare e ho voglia di tornare negli States”.

Roberto Greco