Rosario Faraci, economista ed esperto di dati ed indicatori siciliani, fornisce una lettura attenta e critica dei numeri e delle percentuali Eurostat analizzando criticità e responsabilità ma soprattutto prospettive future e possibili “vie d’uscita”.
Gli indicatori Eurostat inchiodano quasi sistematicamente la Sicilia agli ultimi posti delle classifiche, quali sono i numeri economico-sociali-occupazionali che la preoccupano di più e perché?
“Due dati mi preoccupano più degli altri. Il tasso di povertà e quello sui Neet. In Sicilia, le persone a rischio povertà sono il 38% secondo il rapporto BES 2021 realizzato da Istat. L’Isola è sul podio delle regioni maggiormente in sofferenza. Ancora più allarmante è il dato sui Neet, ovvero i giovani tra 15 e 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di studio né di formazione.Col 37,5% la Sicilia è al primo posto in Italia. Sono primati negativi che ci fanno male, perché ciò significa pregiudicare il futuro”.
Alcuni indicatori invece disegnano una Sicilia che va indietro come il gambero: di chi è la colpa? Di chi è la responsabilità?
“Inseguire le colpe altrui non è una pratica che mi esalta particolarmente. La colpa, in questi casi, è di tutti. Se non si individuano priorità, si va avanti per tentativi ed errori e con molta approssimazione. Ad esempio, il vero nodo strategico per l’Isola è il lavoro, più precisamente il differenziale di nuova occupazione rispetto all’esistente, l’unico in grado di fare la differenza in prospettiva. Non mi risulta che ci sia grande attenzione verso questo tema. Si inseguono le emergenze, ovvero come rimpiazzare il lavoro che si è perso, ma non si concentra mai l’attenzione sul plus che darebbe nuova linfa all’economia, arrestando il flusso di emigrazione di giovani ed adulti verso il Nord”.
Possiamo dire che, a parte le responsabilità della classe politica, i siciliani farebbero bene ad abbandonare questa mentalità votata all’assistenzialismo? Possiamo dire che ai siciliani, ahinoi, ha fatto comodo vivere di sussidi piuttosto che rimboccarsi le maniche?
“Non è che il popolo siciliano sia tanto diverso da quello campano, laziale o lombardo. Quando ci sono di mezzo i sussidi, fanno comodo a tutti, perché creano rendite di posizione e abbassano la soglia di percezione del rischio che è invece una componente fondamentale dell’imprenditorialità e del fare impresa. In Sicilia, però, c’è l’aggravante di una forte dipendenza dalla politica che non si registra con la stessa intensità in altre parti del Paese. Ovvero, qui non si muove foglia se non decide il notabile di turno. Quando lo scambio fra politica ed elettorato avviene barattando il consenso con la concessione del sussidio, allora l’assistenzialismo si radica nella “forma mentis” delle persone. Lì diventa pericoloso per il futuro dell’isola”.
Il Pnrr riuscirà a ribaltare questo stato di cose?
“La speranza è la prima a nascere, mai l’ultima a morire in questi casi. Però, se è vero che parte della dotazione riservata alla Sicilia dal Pnrr sia il risultato di una sostituzione, ovvero di una riassegnazione al Pnrr di risorse precedentemente stanziate dai fondi europei, il dispositivo di ripresa e resilienza servirà ben poco alla Sicilia come misura di accompagnamento alla nuova fase dell’economia che si aprirà a conclusione del 2026. L’Unione Europea sta disegnando un modello di sviluppo sostenibile, equo, inclusivo, smart, digitale e green. Mi chiedo, quali progetti sta cantierando la Sicilia per abbracciare questo nuovo modello di sviluppo economico e sociale e se ci siano risorse aggiuntive da impiegare in questa direzione”.