Piccione uscì di corsa da casa, al solito. inforcò la sua vespa special verde pisello smunto. fece il viale della sua città di mare fino allo studio.
L’Ingegnere Piccione era malgrado tutto il miglior amico di Dip. Si erano incontrati per il tramite dell’avv. Giannotti principe del Foro di Messina. Piccione era uno uomo dello Stretto. A tutto tondo. In quanto era alto e lungo come Tirammolla, il personaggio dei fumetti.
Lui era un professionista. un Ingegnere atipico. Aveva sempre una fretta indiavolata, era perennemente in ritardo, come al suo solito. Doveva progettare un campo da golf! che ne capiva lui di golf poi? “ma sti campi da golf sono multipli di due o di cinque? pensò il nostro ingegnere. facciamo tre! E con il culo che si ritrovava ci azzeccò. Era il maestro dell’incarico ultimativo, quello sotto soglia, quello delle scadenze impossibili. Quando un amministratore si trovava disperato, quando i tecnici dei comuni del circondario incrociavano le braccia, quando i soliti noti professionisti della lobby cittadina se ne infischiavano, un solo nome veniva fatto. Il suo. L’ingegnere Piccione. non c’era campanile diroccato, ponte pericolante, cimitero franante, che il nostro atipico ingegnere non cercava di rimettere in sesto. Si arrangiava progettando, tra una lezione di disegno tecnico, fatta a svogliati e fantasmagorici geometri di dubbio futuro, e sortite radiofoniche in qualità di inviato di trasmissioni satireggianti. Nulla in lui dava manforte alla canonica figura di algido e serio professionista della statica e della dinamica dei corpi. Anche il suo incedere scanzonato e traccheggiante non aiutava a riconoscere in lui un ingegnere per come lo si dipinge solitamente. Lui era Atipico.
Dinoccolato, con quella faccia da Colin Firth di provincia, smontò dalla vespa. A tre cose lui teneva: la sua vespa special verdino pisello smunto. L’avrebbe venduta solo per diecimila euri millantava (ne avrebbe presi un decimo sosteneva l’avvocato Giannotti); la sua decapottabile due posti alla James Bond (mai vista scappottata, troppo pigro..); e soprattutto, la mamma.
Quando parlava della mamma, Piccione si incantava come Johnny Stecchino.
Ma quella sera aveva piu’ fretta del solito l’atipico ingegnere. Quella sera non doveva andare, come suo costume, da finto intellettuale, al cinema d’essai, accompagnato dalla sua amichetta, l’idraulica biondina.
E nemmeno andare a cantare con quello sfigato del suo amico palermitano nel solito postribolare bar karaoke. No, quella sera no.
Quella sera ci sarebbero stati giochi di fuoco erotici con la mitica Serenella, finto vergine di paese avito, in realtà fulgido archetipo della sua insaziabile libido. Erano settimane che aspettava quell’evento, si era preparato giochi e fantasie, attrezzi e financo la strepitosa pomata Vigor, consigliata dalla farmacista del Corso, tale Annalaura, sua dispensatrice di droghe farmacologiche.
L’appuntamento era alla trattoria Noemi di Gallodoro paesino di collina della costa Jonica. Perché avesse scelto questo posto invece di un più adatto ristorante di pesce a Letojanni è presto detto. Facendo due conti se la portava, come richiesto dalla ragazza, da Nino sul mare sta avventura rischiava di smontare la sua libido davanti ad un conto di oltre duecento euro. Da Noemi, se prendeva anche il dessert, arrivava a 40 euri. Forse meno, visto che gli aveva fatto la perizia per il finanziamento del magazzino.
E già la cosa era nel verso giusto, considerando la proverbiale, come dire, prodigalità del nostro personaggio.
D’altra parte lui soleva dire che uscendo tre volte a settimana i corteggiamenti non gli potevano costare quanto una rata di mutuo.
Certo il menù non era gourmet, non c’era neanche un pesciolino “fituso”, bensì pasta “ ‘ncasciata” e capretto al forno. Ma lui non badava a queste cose. Erano per fighetti “amminchioniti”, non per fini intellettuali come lui.
Serenella, brava ragazza di paese, se ne sarebbe fatta una ragione. La cena passò tra suoi risolini ammiccanti e un certo imbarazzo della ragazza. Che sembrava sempre sul punto di dire qualcosa.
Piccione, male intenzionato, la guardo con il suo famoso occhio di costardella. La triglia costava troppo.
Il suo concetto di rilassamento era incentrato su una serie di assalti all’arma bianca alle cangianti virtù della disgraziata, ovviamente.
A Piccione erano seccate le papille gustative, si era scolato un bottiglione di acqua di cannolo. Quella minerale, da buon braccetto corto, gli faceva venire il meteorismo sosteneva, ma la lingua era asciutta come una pasta scolata da un’ora.
Piccione diede uno sguardo rassegnato agli stivaletti bianchi con le frange che Serenella aveva indossato per lui. Gli piacevano tanto le donne con il mezzo stivaletto bianco. Quella sera di bianco ci sarebbe stato solo il sesso.
Lui fece rapidamente due conti. La trattoria per due, non se la sentiva di pagare alla romana quella volta, 10 euro di benzina nella Mazda, totale 50 euro e cinquanta. I cinquanta centesimi gli dispiacevano più di tutto. Quella carogna del proprietario non gli aveva fatto nessuno sconto.
Glielo doveva dire a Dip. Basta con le sane e virtuose ragazze di paese. Alla fine vogliono sempre incastrarti. Bisogna puntare sulle commesse. Come gli diceva sempre quel suo amico di Bitonto che faceva l’aiuto regista nella fiction un Posto al Sole. Le puoi portare al pub e non si lamentano, altro che ristoranti stellati. Tutti questi programmi alla masterchef stavano rovinando le finanze dei playboy di provincia.
Piccione lucidando con il gomito la fiancata della Mazda riaccompagnò mestamente a casa la bellissima Serenella. Non ci sono più le accondiscendenti ragazze del paese. Un mondo perso pensò Piccione.
Giovanni Pizzo