A 37 giorni dall’inizio dell’invasione di Putin che ha determinato la Guerra in Ucraina, mentre i due paesi “si incontrano online” per definire alcune delle questioni rilevate durante gli incontri a Istanbul, le notizie si rincorrono, tra dichiarazioni e smentite e spiragli di negoziati e soprattutto tra accuse reciproche e nuovi attacchi. L’incendi del deposito petrolio della città russa di Belgorod di questa notte, infatti, riaccende gli animi.
Stamattina l’agenzia Tass, citando una fonte del ministero delle emergenze, ha denunciato un attacco ucraino al deposito della città russa di Belgorod, a 50 chilometri dal confine ucraino, riportando l’incendio di otto serbatoi di petrolio. Il raid aereo è stato attribuito da Mosca alle forze ucraine: non si registrano vittime ma sono stati impegnati circa 170 uomini e 50 mezzi nello spegnimento degli incendi.
Dal suo canale Telegram, il governatore russo di Belgorod, Vyacheslav Gladkov, ha accusato le forze ucraine di aver attaccato il deposito di petrolio dichiarando che si è trattato di un raid aereo condotto da due elicotteri ucraini che, colpendo il deposito, ha provocato un incendio.
Cosa comporta tutto questo? Di sicuro non distende gli animi, perché, come ha detto ai giornalisti il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: “L’attacco aereo contro il deposito di carburante a Belgorod, in Russia, che Mosca ha attribuito alle forze ucraine, non crea “condizioni favorevoli” ai negoziati tra i due Paesi, precisando che “ovviamente il presidente Vladimir Putin è stato informato”.
Dal canto suo il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, non ha “né confermato né smentito” la notizia. “Non posso confermare né smentire l’affermazione secondo cui l’Ucraina sia coinvolta in questo semplicemente perché non sono a conoscenza di tutte le informazioni militari”, ha dichiarato Kuleba nel corso di un punto stampa in Polonia.