Il Sismografo

S come Stupore

C’è una fulminante pagina di Albert Camus che coglie con nitore stilistico e rara potenza evocativa un momento irriducibile dell’esperienza umana, lo stupore, un misto di ammirazione e angoscia, come emerge nel greco thauma, un vitale sbigottimento che accompagna ogni atto conoscitivo.

E avviene così che la scena si sfasci. La levata, il tram, le quattro ore d’ufficio o di officina, la colazione, il tram le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno e lo svolgersi del lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì e sabato sullo stesso ritmo […] questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto un giorno sorge il “perché” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. “Comincia”, questo è importante. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza….

Lo stupore anima la scena umana sgombrando il campo dalle ideologie rassicuranti, dall’infeconda retorica dei buoni sentimenti, dai linguaggi confortevoli e confortanti del focolare domestico, della vita automatica. Dunque, un pathos, appunto lo stupore, inaugura la riflessione umana invitandola ad abbandonare i presunti sentieri del giorno, del dire comune.

Lo stupore organizza l’incontro con qualcosa cui siamo destinati, che ci scuote, ci trasforma, riorienta la nostra vita. È come se, all’improvviso, la scena umana fosse attraversata da una luce che scompagina ogni ordinarietà, ogni tracciato consueto, lineare, per consegnarci una visione del tutto nuova, e che, proprio per questo, ci affascina, ci angoscia per la sua improgrammabilità, per la capacità di fornirci un senso altro, ci saggia, ci mette alla prova.

Come scrive Silvano Petrosino, Lo stupore (Interlinea Edizioni):
Potrebbe essere proprio questa la definizione dello stupore: esso è al circostanza in cui il vedere è costretto a diventare un guardare, ciò che costringe è lo splendore del qualcosa, ove tuttavia tale risplendere non assorbe, come fosse un buco nero, il soggetto nel qualcosa, ma lo “riflette” rinviandolo al suo proprio modo d’essere.

In altri termini, lo stupore non rinvia alla mera fascinazione, al sensazionalismo, semmai alla più radicale delle esperienze umane: all’improvviso, nella mia particolare scena umana, un dettaglio si accende, anima e illumina quella stessa scena umana riflettendo un mio particolare modo d’essere, un mio vissuto, una particolare espressione della mia biografia.

Lo stupore, infine, non è una particolare esperienza di qualcosa di eccezionale, ma dell’eccezionale, cioè di qualcosa che per gli altri è ordinario, banale, ma per noi è un qualcosa che risplende, che rende vitale, animandola, la nostra scena. Anche una cipolla, come nei versi di Wislawa Szymborska:

La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.