PALERMO – Sono stati giorni di scirocco e di libeccio, quelli tra il 26 e il 28 marzo, che hanno portato la sabbia del deserto su tutta la Sicilia. Non è una sorpresa per i siciliani vedere il cielo diventare arancione di terra, appannando il sole, per poi ricadere sui tetti, sulle auto, sulle strade.
Un fenomeno frequente, che di solito avviene in estate, ma che assume tutto un altro significato dal punto di vista delle analisi svolte dalla rete regionale di monitoraggio dell’Arpa Sicilia, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Le strumentazioni hanno misurato proprio in quei giorni di fine marzo concentrazioni elevate di Pm 10 e Pm 2.5, particelle solide e liquide sospese nell’aria, che si distinguono appunto per la dimensione.
Il termine Pm 10 identifica le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 10 millesimi di millimetro, mentre il termine Pm 2.5 è relativo alle particelle con diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 millesimi di millimetro.
Le stazioni con le maggiori concentrazioni sono state Palermo-Boccadifalco, dove il 27 marzo sono stati registrati 299µg/m3 (microgrammo per metro cubo) e Lampedusa, dove il 26 marzo sono stati registrati 299µg/m3 per il Pm 10; ancora, per il Pm 2.5 a Lampedusa si segnalano, il 26 marzo, 78µg/m3, mentre ad Enna il 27 marzo sono state individuate 98µg/m3.
Numeri ben più alti dei limiti giornalieri che si fermano a 50µg/m3 per il Pm 10 e a 15µg/m3 per il Pm 2.5. Il particolato atmosferico è un insieme di particelle, solide e liquide, con una grande varietà di caratteristiche fisiche, chimiche, geometriche e morfologiche. Le sorgenti possono essere di tipo naturale (erosione del suolo, spray marino, vulcani, incendi boschivi, dispersione di pollini, etc.) o antropogenico (industrie, riscaldamento, traffico veicolare e processi di combustione in generale).
Può essere di tipo primario se immesso in atmosfera direttamente dalla sorgente o secondario se si forma successivamente, in seguito a trasformazioni chimico-fisiche di altre sostanze. Si tratta, dunque, di un inquinante molto diverso da tutti gli altri, presentandosi non come una specifica entità chimica ma come una miscela di particelle dalle più svariate proprietà.
I maggiori componenti del particolato atmosferico sono il solfato, il nitrato, l’ammoniaca, il cloruro di sodio, il carbonio, le polveri minerali e si stima che in alcuni contesti urbani più del 50% sia di origine secondaria. Il particolato atmosferico ha un rilevante impatto ambientale sul clima, sulla visibilità, sulla contaminazione di acqua e suolo, sugli edifici e sulla salute di tutti gli esseri viventi.
In particolare, le particelle più piccole riescono a penetrare più a fondo nell’apparato respiratorio. Quindi, è importante capire quali e quante particelle sono in grado di penetrare nel corpo umano, a che profondità riescono ad arrivare e che tipo di sostanze possono trasportare. I principali effetti sulla salute dovuti ad esposizione al particolato già riconosciuti riguardano gli incrementi di mortalità premature per malattie cardio respiratorie e tumore polmonare, l’aumento dei ricoveri ospedalieri e visite urgenti per problematiche respiratorie, bronchiti croniche e anche un aggravamento dell’asma.
Le categorie maggiormente a rischio, quindi, gli anziani, gli asmatici, le persone affette da malattie respiratorie e cardiovascolari e i bambini, senza dimenticare le popolazioni “deprivate”, cioè quei soggetti in uno stato socio-economico di disagio, o che si trovano in contesti lavorativi critici o già fortemente compromessi, fattori che vanno a peggiorare le statistiche in termini di mortalità, morbilità e bisogni sanitari.