Inchiesta

Salario minimo, inutile la legge: c’è già!  Più controlli sui contratti per tutelare il lavoro

In Italia, una proposta di legge, a firma integrale del Movimento 5 Stelle, era già stata presentata nell’aprile del 2021, ma subito bocciata. Dopo poco più di un anno, l’argomento è tornato di attualità, questa volta a livello europeo. Stiamo parlando del salario minimo che, dopo l’approvazione, a metà settembre, di una Direttiva del Parlamento europeo, seguendo le indicazioni date a giugno dal Consiglio, sta per diventare realtà in tutta l’Unione. Destando, però, più di un dibattito.

Non che il minimum wage (per usare il lessico di Strasburgo) non sia già effettivamente presente in molti Paesi Ue, tanto da costringere gli organismi europei a specificare che si tratta di una “direttiva”, che dunque dà un’indicazione di massima (salvo, però, poi specificare che “I Paesi Ue disporranno di due anni di tempo per conformarsi alla Direttiva”, ndr), che non quantifica nemmeno una retribuzione base (e neanche potrebbe farlo) né introduce un obbligo per quei Paesi (21 su 27) in cui già non ci sia un minimo garantito per legge.

Ma anche nei sei Paesi (l’Italia, insieme ad Austria, Cipro, Finlandia, Danimarca e Svezia) il fatto che il Parlamento locale non abbia mai varato una legge ad hoc, non significa che una retribuzione minima non esista, essendo presente attraverso i contratti collettivi nazionali. La cui promozione, dice sempre la Direttiva, “è fattore essenziale per determinare i salari minimi adeguati”.

Indicazioni europee condivise a giugno dal Consiglio e tradotte in legge (505 voti a favore, 92 contrari, 44 astenuti) dal Parlamento a metà settembre che in Italia hanno destato più di una perplessità, sia da parte datoriale che sul fronte sindacale. Già in estate Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, aveva sottolineato come attraverso la Direttiva si cerchi “di intervenire dove i salari sono bassi e la contrattazione collettiva è debole… CONTINUA LA LETTURA. QUESTO CONTENUTO È RISERVATO AGLI ABBONATI