Sanità

Sanità, crisi di vocazioni in chirurgia generale “Incentivare i medici per invertire il trend”

Che ormai i medici di alcune reparti sensibili siano sempre di meno non è una novità. Lo sanno anche i bambini. Che finora le iniziative intraprese non abbiano portato a grandi cambiamenti è fatto saputo e risaputo. Che le fuoriuscite pensionistiche siano molto di più dei nuovi assunti lo sanno anche i muri. Ma come è possibile cambiare questa situazione che sta creando gravissimi problemi di organico soprattutto in reparti come pronto soccorso, chirurgia, medicina d’urgenza, cardiologia e anestesiologia? Ne abbiamo parlato col prof. Alessandro Cappellani, direttore del dipartimento di chirurgia del Policlinico Rodolico-San Marco di Catania.

Professore i chirurghi anche a Catania sono sempre di meno. Cosa si può fare per evitare che d’un tratto che l’assistenza sanitaria non riesca a soddisfare gli standard previsti?
“Dal mio dipartimento universitario dipende il corso di laurea in Medicina e in Chirurgia e la specializzazione in Chirurgia generale e sono componente del consiglio direttivo della società italiana di Chirurgia. In effetti il problema c’è ed è nazionale in quanto si è verificata negli anni una grossa carenza di medici provocata dall’adozione del numero chiuso che aveva come criterio quello di evitare la disoccupazione. In questo modo, però, la procedura è stata adottata senza tenere conto delle reali esigenze delle strutture sanitarie e alla fine questi paletti hanno portato allo stato attuale in cui il rapporto tra pensionamenti e assunzioni è nettamente a sfavore”.

Cosa si sta facendo per invertire questa tendenza?
“L’Università di Catania, nel 2020 dopo aver concordato il progetto col rettore e con l’allora ministro Manfredi ha portato il numero degli studenti in Medicina da 303 a 420. In più quest’anno abbiamo avuto l’autorizzazione per la realizzazione di un nuovo corso di laurea in inglese di Medicina e Chirurgia con altri 60 posti. Quindi Catania come Università avrà la possibilità di immettere nella sanità 470 medici l’anno, che non è un numero indifferente”.

Certo professore, ma per formare un medico poi da mandare in ospedale servono mediamente 6 anni. Nel frattempo che si fa? Inoltre, molti di questi medici poi si specializzano nei centri privati o all’estero. Sembra che ci sia una tendenza a distruggere la sanità pubblica a favore di quella privata.
“Intanto non parlerei di sanità privata, bensì convenzionata. Il fatto che i nostri medici poi vadano all’Humanitas, allo Iom o alla Morgagni poco importa. Il vero problema è che i giovani medici non vogliano frequentare corsi di specializzazione in Chirurgia generale.

Troppe responsabilità, vero?
“Infatti. Il lavoro in Chirurgia dal punto di vista della fatica, dell’impegno orario e del tipo di attività è sicuramente molto più impegnativo rispetto ad altre discipline sanitarie. Non v’è dubbio che nel passato, e mi riferisco al periodo pre Rosy Bindi, quando il chirurgo poteva riuscire ad avere una serie di introiti aggiuntivi, bene o male suppliva a questa fatica con un riscontro economico importante. Oggi questo non avviene. In più c’è il problema dei contenziosi medico-legali. Sembrava che la legge avesse in qualche modo ridotto il numero dei contenziosi, ma in realtà non è così e c’è inoltre il problema della responsabilità penale che coinvolge molto spesso il chirurgo. Inoltre, nonostante tutto, ancora adesso nella gestione dell’occupazione dei chirurghi subentra un fenomeno complesso. Molti ragazzi che partecipano ai concorsi di Chirurgia generale, alla fine vengono dirottati nell’area di emergenza-urgenza dei Pronto soccorso, lasciando sguarnite le Chirurgie d’urgenza”.

Ma come si esce da questo tunnel?
“Se io fossi un governante mi porrei innanzitutto un problema: anziché dilapidare somme enormi di denaro per cooperative che vanno a supplire negli ospedali io cercherei di valutare in maniera completamente diversa l’aspetto fondamentale delle carenza dei settori dell’emergenza-urgenza, incentivando i medici economicamente rispetto ad altri settori, perché quando non funzionano i pronto soccorso e i reparti ad essi collegati l’ospedale si riempie di ricoveri inappropriati. Se il governo non provvederà a fare presto i dovuti accorgimenti, d’un tratto ci ritroveremo senza medici chirurghi perché saranno sempre meno i giovani medici disposti a condurre una vita di sacrifici, mentre la grande maggioranza parteciperà a concorsi meno impegnativi per andare a lavorare in altri reparti o addirittura nella medicina territoriale”.

In Calabria si è optato alla carenza assumendo medici che provengono anche da Cuba…
“Non credo sia la soluzione. In una Europa unita non c’è dubbio che il transito dei medici sia opportuno ma sarebbe un rimedio transitorio e non risolutivo. Noi dobbiamo invertire questa tendenza. E prima lo facciamo, meglio sarà”.