In un ospedale quasi tutti i reparti hanno bisogno di un anestesista. Da una frattura fino agli interventi più complicati, senza l’anestesista le sale operatorie rimarrebbero chiuse. In provincia di Catania l’ultima spiaggia per scongiurare questa ipotesi sarà aprire alle cooperative private, perché di anestesisti non se ne trovano. Almeno in periferia. L’alternativa è continuare a farsi prestare i professionisti mancanti dagli ospedali cittadini a 120 euro l’ora, ad esempio dal Policlinico di Catania che, soltanto inviando i suoi anestesisti ad altre aziende sanitarie “sfortunate”, nel 2022 ha incassato 1 milione 255mila euro.
Nei sette ospedali gestiti dall’Azienda sanitaria provinciale etnea dovrebbero esserci 106 anestesisti, in servizio ce ne sono esattamente la metà, 53. Ma con grandi differenze: ad Acireale e Paternò la pianta organica è coperta per oltre il 70 per cento (ce ne sono rispettivamente 16 su 22 e 6 su 8), a Caltagirone e Biancavilla per il 43 per cento (sono 10 su 23 e 9 su 20), a Militello si scende al 23 per cento (sono 4 su 17), a Giarre siamo al 12 per cento (1 su 8). Così gli ospedali sono destinati alla paralisi. E visti i tentativi vani di reclutare professionisti attraverso i bandi pubblici, l’Asp guarda ai privati. Come ha già fatto per tutti i pronto soccorso, dove da giugno è entrata la cooperativa di Vercelli Amaltea. O come già succede in altri reparti: a Caltagirone, ad esempio, anche la Pediatria conta sui camici bianchi privati, altrimenti avrebbe dovuto chiudere trascinandosi dietro pure il punto nascita. I compensi ovviamente sono altissimi: in media 100 euro l’ora.
Tuttavia se dalla provincia ci spostiamo nel capoluogo, c’è chi se la passa decisamente meglio. A Catania, infatti, le tre aziende sanitarie hanno una percentuale di anestesisti in pianta organica molto più alta. Al Cannizzaro in servizio sono 59 su una pianta organica di 64 (il 92 per cento), nell’azienda Policlinico e San Marco sono 98 su 120 (l’82 per cento), mentre il Garibaldi, tra il plesso Centro e quello di Nesima, si attesta su una copertura del 73 per cento con 54 anestesisti in servizio su 75 previsti. Facile intuire che di fronte a una situazione di molta domanda e poca offerta, la gran parte dei camici bianchi scelga gli ospedali metropolitani delle grandi aziende e non quelli piccoli e periferici. Si è visto anche coi concorsi delle ultime settimane.
Al bando dell’Asp di Catania per il ruolo di anestesista a tempo indeterminato hanno risposto in 90: 85 specializzandi e 5 con specializzazione. Alle prove si sono presentati in 31, di cui solo due specializzati che già lavorano in altre aziende sanitarie. Peccato che l’Asp degli altri 29 specializzandi non se ne faccia nulla: affinché un ospedale possa assumere uno specializzando, l’azienda deve essere inserita all’interno della rete formativa di Anestesia e Rianimazione. Cioè essere in rete con un’Università che abbia una scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione. In Sicilia sono solo Palermo e Messina, a Catania non c’è più da anni. Risultato? Gli specializzandi non possono lavorare negli ospedali dell’Asp etnea.
Nel marzo scorso anche le aziende sanitarie Cannizzaro, Policlinico-San Marco e Garibaldi hanno pubblicato bandi di concorso per anestesisti e in questi giorni si terranno le prove selettive. E tra gli addetti ai lavori ci si aspettano adesioni decisamente più alte rispetto a quello dell’Asp. Così gli ospedali periferici rimarranno in emergenza e quelli cittadini probabilmente copriranno le loro – decisamente più piccole – carenze di organico. Stessa cosa succede a Palermo, dove l’Arnas Civico e il Policlinico continuano ad assumere anestesisti mentre gli ospedali periferici lentamente muoiono.
Presi per la gola, la soluzione negli ultimi anni è stata siglare convenzioni tra le aziende sanitarie con forti carenze di organico e quelle che si possono permettere di prestare medici. Succede per diverse discipline, come Cardiologia. Ma nell’Anestesia questa prassi ha assunto tratti debordanti. Il Policlinico di Catania, per esempio, presta i suoi anestesisti non solo all’Asp etnea, ma anche a quelle di Caltanissetta, di Siracusa e di Ragusa. Nel 2022 l’azienda universitaria etnea ha così incassato 1 milione 255mila euro: 533mila dall’Asp di Catania, 352mila dall’Asp di Ragusa, 209mila dall’Asp di Siracusa e 162mila dall’Asp di Caltanissetta. A 120 euro l’ora, un turno di 12 ore viene pagato 1.440 euro. In sette turni, un giovane anestesista può arrivare a 10mila euro. In confronto lo stipendio mensile di un dirigente medico va dai 2.800 ai 3.500 euro, quello di un primario si aggira sui 5mila euro. Facile capire perché i giovani anestesisti preferiscano partecipare ai concorsi delle grandi aziende sanitarie cittadine.
Eppure un freno a questo fenomeno la politica regionale aveva provato a metterlo. L’ex assessore alla Salute Ruggero Razza, con una direttiva, aveva imposto lo stop a nuovi concorsi per le aziende sanitarie con l’80 per cento della pianta organica coperta. Non tutte, però, lo hanno rispettato. Nell’ottobre del 2022, pochi giorni prima dell’elezione di Renato Schifani, l’ex dirigente generale dell’assessorato alla Salute Mario La Rocca (oggi spostato ai Beni culturali) redarguiva con una lettera il Policlinico di Palermo per aver avviato un concorso per nuovi 8 anestesisti, violando la direttiva di Razza. Ma all’azienda universitaria è bastato attendere l’insediamento del nuovo governo regionale per avere via libera. Lo scorso 15 marzo, infatti, l’assessora alla Salute Giovanna Volo con una nuova direttiva autorizzava tutte le aziende sanitarie ad avviare procedure concorsuali nel settore dell’emergenza-urgenza (anestesisti, rianimatori e medici dell’emergenza), “a modifica delle precedenti indicazioni”, limitandosi a raccomandare “il previo accordo tra le aziende ricadenti nello stesso territorio provinciale, per evitare il perdurare di diseguaglianze nella distribuzione di detto personale”. Un libera per tutti che però non fa altro che ampliare il gap tra centro e periferia, facendo di quello alla Salute un diritto solo sulla carta per troppi siciliani.