Sanità

Servizio sanitario, soddisfatti soltanto due siciliani su cinque

di Giampiero Valenza

PALERMO – Solo poco più di 2 siciliani su 5 apprezzano il sistema sanitario. Il 35,6%, infatti, ritiene i servizi della sanità di base a un livello medio-alto e il 7,8% a un livello alto. La Sicilia è la quartultima regione italiana per gradimento: peggio, solo Campania, Molise e Calabria. A dirlo è lo studio “Il sistema sanitario di fronte all’emergenza: risorse, opinioni e livelli essenziali” dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche).
In vetta ci sono Regioni come il Trentino-Alto Adige e l’Emilia Romagna (dove il Servizio sanitario viene apprezzato da più di 8 cittadini su 10). La media italiana si attesta su una media di 3 cittadini su 5 che gradiscono il sistema pubblico.

L’epidemia di Covid-19 ha fatto emergere le differenti capacità dei modelli regionali in termini di infrastrutture territoriali e di personale. Secondo gli studiosi dell’Inapp, le cause dell’insoddisfazione sono da ricondurre al mancato inserimento negli anni del personale infermieristico e al sottodimensionamento nell’offerta di posti letto, drasticamente diminuita a partire dal 2004. Si arriva infatti, nel complesso, a una riduzione netta del 20% di posti letto ordinari, con particolare concentrazione nel Centro Italia (-30%) e nel Sud (-24%).

“La pandemia è scoppiata in modo violento ma la risposta degli operatori sanitari è stata pronta anche nella fase più acuta dell’emergenza – ha spiegato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – l’Italia ha dimostrato con il suo Ssn di non essere il malato d’Europa, ma ciò che adesso va fatto è indirizzare le risorse per la sanità pubblica al fine di rilanciare i presidi sul territorio e, allo stesso tempo, rafforzare anche le nuove forme di assistenza consentite dallo sviluppo tecnologico, come la telemedicina”.

Tra il 2011 e il 2017, su base nazionale, la quota di lavoratori negli enti sanitari locali con contratti di collaborazione o altre forme atipiche è cresciuta del 78% e il lavoro temporaneo del 23,7%.  Inoltre, in generale, la riduzione di risorse umane ha riportato il numero complessivo di dipendenti del Ssn in servizio nel 2017 (658.700 persone) a un livello inferiore a quello del 1997 (675.800). Le riduzioni degli ultimi anni hanno riguardato soprattutto i medici (-6% tra il 2010 e il 2017) e il personale infermieristico (in Italia risultano esserci 5,8 infermieri ogni 1.000 abitanti contro gli 8,5 della media dei Paesi dell’Unione europea).

Tutto questo è accaduto mentre è aumentata la spesa diretta delle famiglie: nel 2017 le risorse pubbliche hanno coperto il 74% della spesa complessiva (152,8 miliardi di euro), mentre la spesa diretta delle famiglie ha coperto il restante 26% (circa 39 miliardi, di cui 35,9 direttamente pagati dalle famiglie e 3,7 attraverso assicurazioni private).

Per l’Inapp una delle chiavi dello sviluppo del sistema sanitario passa attraverso ulteriori finanziamenti del sistema pubblico delle politiche della salute. Il decreto Rilancio approvato dal Governo porta il fabbisogno sanitario standard, per il 2020, fino a una quota di 119.556 milioni, con un’incidenza sul Prodotto interno lordo del 7,2% (il 3,6% in più rispetto al 2019).

“Tra gli interventi strutturali risultano di particolare rilevanza il potenziamento dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza territoriale, cui sono associati importanti investimenti in risorse umane (con lo stanziamento di 480 milioni di euro per il reclutamento di personale infermieristico e 734 milioni per il rafforzamento dell’Assistenza domiciliare integrata)”, dicono dall’Inapp.