Un modello innovativo di partecipazione e protezione civile, a vantaggio dei beni ambientali: ovvero la branca del patrimonio culturale che vede l’Italia in testa rispetto a tutti gli altri paesi del mondo.
È quello nato dall’unione e la collaborazione tra cittadini, associazioni e istituzioni scese prontamente in campo, da sabato mattina, per condannare l’atto vandalico sulla Scala dei Turchi e riportare all’originario splendore il monumento naturalistico situato sul litorale di Realmonte a 12 chilometri dalla Valle dei Templi, uno tra i più belli del Mediterraneo.
Tempismo perfetto, quello con cui squadre di giovani volontari muniti di scope, gli esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento e i tecnici della protezione civile del comune di Realmonte e della Regione siciliana sono intervenuti sulle due porzioni del celebre promontorio di marna bianca, candidato anche per via della sua fragilità geologica a essere iscritto nel Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco, imbrattate da vernice rossa fatta colare da uno o più vandali lungo i suoi caratteristici gradoni arrotondati. Un fatto, quello avvenuto tra il tramonto del 7 e la notte dell’8 gennaio, che, ancora una volta, dimostra quanto basti poco per sfregiare e rischiare di distruggere una favolosa creazione della natura, in questo caso antica di almeno 3milioni e mezzo di anni, con atti così odiosi e demenziali.
Dei quali urge adesso comprendere ragioni, finalità o eventuali matrici irrazionali da consegnare all’esame di psichiatri. Ma anche il collegamento con altri fatti simili. Il penultimo si era verificato lo scorso settembre sulle rocce di Punta Bianca, nel territorio di Palma di Montechiaro. Lo strumento era lo stesso: vernice di ossido di ferro (da cui il colore rosso), facilmente reperibile in commercio e utilizzata in edilizia per gli intonaci. Nell’agrigentino l’elenco degli atti vandalici commessi negli ultimi 20 anni, ne annovera alcuni davvero strani e gravi. Sul cui collegamento con gli ultimi avvenuti, nel coro dell’indignazione di questi giorni, scommetterebbero in molti.
Dal danneggiamento dei gradini del Tempio della Concordia, nell’autunno del 2001, causato dall’esplosione di una bombola di gas da campeggio, a quella, scampata appena in tempo, di una tanica di benzina dentro un’auto rubata davanti al carcere agrigentino di contrada Petrusa; e ancora un terzo attentato, fallito anche questo, sempre con una bombola di gas simile a quella usata nella Valle dei Templi, nei pressi di una chiesa evangelica nel centro di Agrigento. Fino allo scoppio, sempre di un ordigno rudimentale, avvenuto stavolta a Milano nel maggio del 2002, nella linea rossa della metropolitana.
Atti, questi, tutti rivendicati con sgrammaticati messaggi inneggianti alla religione musulmana e attribuiti alla stessa persona, Domenico Quaranta, pregiudicato agrigentino, condannato a 16 anni di carcere e oggi in libertà. L’esame dei filmati di video sorveglianza hanno consentito di accertare la sua responsabilità anche per gli imbrattamenti sulla scogliera di marna a Punta Bianca. Il numero dei danneggiamenti si allunga poi a quelli commessi da ignoti, sempre con i favori delle tenebre: tra i più eclatanti, quelli ai danni della statua di Gesù, in contrada Caltafaraci, a Favara, l’ultimo avvenuto nel 2019.
Sebbene quello di sabato scorso sia il primo atto vandalico grave ai danni della Scala dei Turchi, anche sulla scogliera arricciata c’è però un precedente. “Tre anni fa, durante la mia carica, alcuni balordi imbrattarono con del carboncino la marna bianca sulla parte più bassa del lato occidentale della Scala – ricorda Lillo Zicari, ex sindaco di Realmonte – Il danno di quella bravata (si trattò di banali disegni) fu modesto e facile da cancellare alla svelta. Quest’ultimo, invece, ha avuto invece dimensioni più estese e ci ha subito preoccupato molto. Se adesso le macchie rosse sono state eliminate, resta però aperta la questione della salvaguardia e delle modalità di fruizione della Scala dei Turchi”. Urge cioè affidarla a un ente capace di tenerla sotto controllo in maniera efficace: non solo dai vandali, ma anche dagli stessi turisti che, nonostante i divieti (per poco meno di un anno, fino allo scorso settembre il sito è stato sottoposto a sequestro) hanno continuato a calpestarla, a portarne via pezzi come souvenir, a incidere scritte, addirittura a piantarvi ombrelloni.
“Entro la prossima settimana ci incontreremo con l’assessore regionale al Territorio e Ambiente Toto Cordaro per definire l’acquisizione del sito da parte del comune di Realmonte – dice l’attuale sindaco Sabrina Lattuca. Si tratta di un passaggio indispensabile per sua una corretta gestione in termini di tutela ambientale e di sicurezza di fruizione”. La colata rossa dello scorso fine settimana – continua la sindaco “è stato un atto vile, oltraggioso per l’intera Sicilia. Ha vinto però l’esempio di civiltà dei volontari. Tocca adesso mettere a punto un piano di fruizione mirato e concertato con gli enti preposti. E attendere che la Procura di Agrigento faccia presto luce sull’accaduto”.
La caccia al vandalo è aperta. L’ufficio giudiziario guidato da Luigi Patronaggio ha aperto un’inchiesta per danneggiamento di beni di valore paesaggistico. Per stabilire se il reato sia stato commesso da una singola persona o da un gruppo di teppisti, sarà decisivo il vaglio dei filmati notturni registrati dal sistema di videosorveglianza sistemato sopra la falesia, nei pressi del belvedere realizzato dal Fai (Fondo per l’ambiente Italiano). Le indagini sono orientate anche verso i punti vendita della tipologia di colorante adoperato.
Alla Scala dei Turchi, storia e leggenda si mischiano a una problematica situazione attuale. Qualche mese fa la Procura agrigentina aveva fatto istanza al gip del decreto penale di condanna a poco più di 9mila euro di multa nei confronti di Ferdinando Sciabbarrà, il privato che ha sempre sostenuto di essere il legittimo proprietario della scogliera. La Scala era stata sequestrata poco meno di un anno fa, a seguito di indagini per occupazione di suolo demaniale e violazioni in materia di sicurezza e tutela di beni ambientali. A seguito della recente revoca della misura cautelare, è stata poi disposta la restituzione di una porzione della falesia alla Regione Siciliana e di un’altra allo stesso Sciabbarà. Il quale ha comunque più volte confermato la disponibilità a cedere la sua parte al Comune di Realmonte.
“Per quanto questo fatto non abbia per fortuna avuto effetti distruttivi, fa però comprendere quanto sia urgente alzare i livelli di conservazione del sito – afferma Daniele Gucciardo, presidente del Circolo Rabat- Legambiente di Agrigento. La Scala dei Turchi – sottolinea – è un ambiente fragilissimo. Se la sua erosione naturale causata da maree e vento salmastro è un processo inevitabile, si deve intervenire per preservarlo almeno da quella causata dall’impatto antropico, legato soprattutto al calpestio dei turisti concentrato nei mesi estivi. Lo sfregare dei piedi bagnati sulla marna ne accelera infatti il progressivo deterioramento”. A ciò si aggiungono anche gli ancoraggi delle imbarcazioni sulla parte immersa della scogliera bianca. Occorre insomma che si affermi l’idea di poter godere di questo sito ormai solo dall’alto. “Oppure – riprende Gucciardo – mediante accessi a numero chiuso, sotto il controllo però di una costante guardianìa e nel rispetto di rigide norme di comportamento, nell’attesa di fare della Scala dei Turchi una riserva naturale sul modello dell’Isola dei Conigli, a Lampedusa. A tal riguardo, Legambiente lavora per redigere una proposta di zonizzazione dell’intera area”.
La Scala dei Turchi è un quadro di bellezza nascosta. Ma anche uno dei luoghi più riscoperti del Mediterraneo. La natura si è sbizzarrita nello scolpire questa scogliera bianchissima che dà l’idea di una piccola montagna innevata che punta in direzione dell’Africa. Sito ormai celeberrimo nel mondo, deve il suo nome ai pirati saraceni, genericamente indicati col termine di ‘turchi’, che la sfruttavano come approdo riparato e comodo accesso alla costa, da scalare in velocità per razziare i villaggi dell’immediato entroterra.
Malgrado i ritardi sul fronte della sua messa in sicurezza, questo sito simboleggia una vittoria sull’abusivismo edilizio: quella segnata nel 2013 dalla demolizione dello scheletro di un edificio a lungo identificato come un ‘ecomostro’. Dal 2019, quando la falesia venne messa in sicurezza a seguito di alcuni crolli avvenuti due anni prima, i visitatori devono accontentarsi di ammirarla solo a distanza. La visuale migliore è quella dal belvedere più alto, che fronteggia il lato occidentale del promontorio lungo la strada provinciale che unisce Realmonte a Porto Empedocle, ovvero la Vigàta raccontata da Andrea Camilleri nei suoi gialli sul Commissario Montalbano. Proprio in uno di questi, ‘La prima indagine di Montalbano’, lo scrittore empedoclino tratteggia il paesaggio della Scala dei Turchi attraverso le memorie d’infanzia del suo personaggio.
Vale poi la pena ricordare che il tratto costiero tra i due paesi agrigentini, a partire dalla foce del fiume Naro, comprende in successione un geosito di importanza mondiale, citato nelle riviste scientifiche e nell’Enciclopedia Britannica, nel quale si possono leggere due ere geologiche risalenti a milioni di anni fa; la villa romana di Realmonte, con i suoi mosaici del primo secolo dopo Cristo; un sistema di dune naturali, punteggiato dalla macchia mediterranea e infine, appunto, la scogliera di marna bianca strapiombante in mare. Una magia della natura che è stata stupidamente violata e che adesso reclama una tutela molto più attenta. “In Italia bisognerebbe andare oltre – dice Rosario Santanastasio, Presidente Nazionale di Archeoclub d’Italia. È evidente che la responsabilità di questi fatti sia anche da attribuire al legislatore del recente passato, attardatosi sull’inasprimento delle sanzioni. Dal 2015 siamo ancora in attesa del passaggio definitivo alla camera dei deputati della normativa che amplia i reati contro i beni culturali, trasferendoli dal codice dei beni culturali e del paesaggio (proposto dall’ex ministro Giuliano Urbani) al Codice Penale”. Il messaggio è chiaro: un qualsiasi luogo che conserva siti archeologici, rifugi di guerra, testimonianze storiche e culturali, così come qualsiasi sito naturalistico che narra mitologia, storia, tradizione, conclude Santanastasio “deve insomma essere considerato patrimonio culturale alla pari di un museo”.
Antonio Schembri