La scienza è più adatta ai “maschi” che alle ragazze: niente di più falso.
Tutti e tutte possono fare il lavoro che sognano e solo studiando le scienze si può salvaguardare la salute delle persone e del pianeta.
La Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza che si è celebrata ieri in tutto il mondo è stata l’occasione per l’ennesima riflessione attorno agli stereotipi che gravano sulla donna e su ciò che la donna può o non può fare.
Secondo i dati dell’ultima ricerca realizzata da Ipsos per Save the Children, nel 2021, in Italia le immatricolazioni universitarie registrano un aumento delle donne iscritte alle facoltà Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).
Il nostro paese si attesta al 22% delle ragazze che scelgono corsi scientifici sul totale delle iscritte. Pur registrando un aumento in particolare per le immatricolazioni in informatica e tecnologie Ict (+15,74%), le materie scientifiche continuano ad essere percepite dalle ragazze come “poco adatte” a loro, sebbene appassionino e incuriosiscano il 54% delle adolescenti a scuola.
“Cresce tra le bambine e le ragazze, in Italia e nel mondo, la consapevolezza del loro valore e del contributo che possono dare in ambito scientifico. L`acquisizione di una piena ‘cittadinanza scientifica’ è considerata oggi da molte come un diritto fondamentale per rispondere alle sfide ambientali e della salute.
Tuttavia il divario di genere è molto presente e si radica, sin dai primi cicli di istruzione, negli stereotipi, ancora oggi diffusi, che vorrebbero le ragazze poco portate verso le materie scientifiche e che bloccano sul nascere i loro talenti”, dice Raffaela Milano Direttrice dei Programmi Italia – Europa di Save the Children.
“Gli investimenti del Piano nazionale ripresa e resilienza – prosegue Raffaela Milano – rappresentano una occasione unica per fare un deciso cambio di marcia, l’occasione per sostenere e far fiorire i talenti scientifici delle ragazze che vivono in Italia. Servono interventi mirati, quali piani formativi e doti educative, per promuovere tra le bambine e le ragazze – a partire da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati – l’acquisizione di fiducia nelle proprie capacità in tutti i settori: nella matematica, le scienze, l’ingegneria e le tecnologie digitali. Solo così sarà possibile ribaltare il paradigma che di fatto rappresenta il mondo scientifico come appannaggio solo degli uomini”, conclude.
Save the Children sottolinea come occorra incentivare la partecipazione delle ragazze al mondo scientifico perché sarà il primo passo per riconoscere il ruolo delle donne e delle ragazze nella scienza, non solo come beneficiarie, ma anche come agenti di cambiamento per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall`Agenda 2030.
Di questo sono ben consapevoli anche le ragazze in Italia, che infatti pensano di poter dare un contributo anche alle sfide più importanti che la scienza si troverà a dover affrontare nei prossimi 10 anni quando, si spera, la pandemia causata dalla diffusione del covid-19 sarà un lontano ricordo. Tra le tre principali sfide, la prima è quella dell’invecchiamento della popolazione (lo pensa il 34% delle adolescenti), seguita dalla produzione di energia sostenibile (31%) e infine la diminuzione delle emissioni inquinanti dei mezzi di trasporto (27%).
Secondo il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, per incentivare la partecipazione femminile ai corsi di laurea e ai lavori legati al mondo scientifico “bisogna decostruire e smontare stereotipi molto fastidiosi di genere: serve non solo una consapevolezza, ma un grande cambio di passo che deve iniziare dalla famiglia e dalla scuola. Resta principale la necessità di una rivoluzione culturale, pacifica: è fondamentale togliere questo stereotipo”.
“Possiamo – ha aggiunto il ministro – da un lato mettere in atto una serie di misure di incoraggiamento e incentivazione per le ragazze a iscriversi per la lauree Stem, cosa che abbiamo fatto aumentando le borse di studio, ma c’è anche una incentivazione che arriva dal mondo del lavoro, che continua a chiederci queste figure”.
“La differenza stipendiale” tra uomo e donna, ha ricordato Messa, “è un dato di fatto, che vale in tutti gli ambiti. Sicuramente c’è un legame con il fatto di prendere il lavoro che c’è, non volendo spostarsi o non avendo del tempo, perché la famiglia pesa ancora sulla donna, si fanno scelte di ripiego. Nell’ambito di chi fa ricerca, essendo internazionale, le opportunità migliori le offrono altri Paesi”.
“Lo stereotipo nasce nella famiglia: un conto è vivere in una grande città, un altro in un paese in cui la famiglia tiene alla laurea, ma fa differenza tra la laurea del maschio e della femmina”. Inoltre, ha concluso il ministro, c’è il problema della “migrazione generale, dal Sud al Nord e dal Nord all’estero: siamo molti impegnati al governo per cercare di calmirare e ridurre e anche parte dei fondi che vanno al Sud andrebbero impiegati per riuscire a trattenere i giovani lì”.
Raggiungere le periferie, la provincia, i luoghi che non hanno una cultura scientifica: ecco qual è, secondo la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, la “ricetta” per accrescere la partecipazione femminile al mondo scientifico, dall’università alle professioni. “Dobbiamo molto lavorare sulle diseguaglianze e sulle pari opportunità – ha spiegato Carrozza – e lo dobbiamo fare dai primi anni della secondaria di secondo grado: la dispersione scolastica intorno ai 14-15 anni, è lì che perdiamo talenti e opportunità per le studentesse, è il momento in cui dobbiamo incidere. Sono i momenti di passaggio quelli più critici, perché l’ambiente familiare e scolastico non è in grado di orientare e tenere le persone a studiare, di far capire l’investimento in cultura. Serve un orientamento precoce e forti investimenti per sostenere tutto all’università, iscrizione, alloggio, struttura: bisogna raggiungere tutti”.
Per Carrozza “l’orientamento ancora oggi è insufficiente e non è indirizzato a spiegare esattamente la tipologia di professione e le materie che si andranno a studiare: nei licei e negli istituti tecnici non c’è raccordo, e non può avvenire a 18-19 anni, ma prima. Il problema della dispersione scolastica è nei momenti di passaggio. Nel sistema italiano ci sono molte barriere, investirei sul loro abbattimento per incoraggiare le ragazze, soprattutto dai 12-13 anni, a capire quale può essere il loro futuro”.
Le donne, ha proseguito la presidente del Cnr “hanno poi figli più tardi perché non hanno una situazione lavorativa stabile. Andrebbero analizzati che tipo di contratti e posizioni vengono offerti alle laureate italiane. I segnali che ho sono pessimi sulla qualità del lavoro e dei contratti che le giovani ricevono, che non è stabile. Se offrissimo posizioni e salario adeguato, si affronterebbe anche il fenomeno del ritardo nell’avere figli”.
“Nessun Paese può fare a meno del contributo delle donne. Per questo in ogni campo si deve investire sul potenziale femminile, impegnandosi nella lotta contro ogni tipo di condizionamento e di discriminazione. Tutti devono anche impegnarsi nella lotta contro gli stereotipi, soprattutto in Italia dove le resistenze culturali sono più radicate: nella società, nelle aziende e nelle stesse famiglie. La parità di opportunità e di diritti va realizzata infatti contestualmente in diversi ambiti: dall’istruzione alla formazione, dall’occupazione al supporto all’imprenditorialità, dal credito alle donne al bilanciamento tra impegni familiari e lavorativi, possibilmente con l’ausilio anche di politiche sulla diversity nelle imprese e programmi di welfare aziendale”.
A lanciare l’appello è Diana Bracco, imprenditrice che ricopre e ha ricoperto negli anni diverse cariche ai vertici del mondo dell’industria e si è fatta ‘paladina’ dell’empowerment femminile.
ROMA – Vivono sulla propria pelle le discriminazioni di genere, si scontrano con il tabù della maternità in camice bianco e spesso pagano sul fronte della carriera il prezzo del desiderio di diventare mamme. è il percorso ostacoli sperimentato dalle radiologhe italiane. A fotografare la difficoltà di farsi strada è un’indagine condotta nel 2021 dalla Commissione donne radiologo della Sirm (Società italiana di radiologia medica e interventistica) su un campione di oltre 1.000 specialiste. I risultati sono stati presentati a Milano durante l’evento ‘Le donne: un motore di progresso’, organizzato oggi in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza dalla Commissione Donne Radiologo Sirm in collaborazione con Fondazione Bracco.
Il 66% delle intervistate ammette che in ambiente radiologico esistono discriminazioni di genere e che queste aumentino all’avanzare della carriera (77%). Il 71% ha dovuto interrompere la propria attività lavorativa per motivi diversi, ma in larga parte (oltre 67%), ha sospeso per gravidanza, allattamento o entrambe. L’aspettativa per maternità è stata concessa senza problemi solo nel 52,8% dei casi, il 12% dichiara di non averne potuto usufruire. E durante la maternità solo per il 37% delle donne medico radiologo è stata effettuata la valutazione del rischio in merito all’attività lavorativa svolta (e pertanto sono state destinate ad attività meno rischiose). Buona parte dei camici rosa che hanno interrotto l’attività lavorativa per gravidanza o allattamento hanno notato un’effettiva penalizzazione della loro carriera in seguito a questo stop. Il 24,7% delle radiologhe dichiara di aver subito una perdita di opportunità di carriera.
E in merito al rientro sul lavoro, solo il 51% dichiara di essersi reinserita facilmente nella stessa posizione occupata precedentemente. Il 44,7% dichiara che l’orario di lavoro non tiene conto delle esigenze legate alla gestione dei figli (il 91% delle intervistate, in effetti, lavora full-time). Più del 40% ammette che il lavoro non consente di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari.
@PatriziaPenna