Il temuto sciopero degli autotrasportatori siciliani, previsto dall’8 al 12 novembre, è stato scongiurato dopo il vertice con il presidente Musumeci assessore regionale Marco Falcone, da cui è scaturita l’apertura di un tavolo istituzionale. Ma quali sono le difficoltà che affliggono il settore e cosa chiedono i lavoratori del trasporto? Il QdS.it ne ha parlato con Giuseppe Richichi, presidente dell’AIAS (Associazione Imprese Autotrasportatori Siciliani).
“I problemi irrisolti iniziano dal lontano 2000 e non sono ancora stati risolti. In tutti questi anni non è stato possibile elaborare una cabina di regia per costruire il trasporto del futuro. Non abbiamo più prospettive lavorative a queste condizioni ma, nonostante questo, né Confindustria né le associazioni che dovrebbero tutelare le imprese, sembrano preoccuparsi di questa situazione. Penso anche ai dipendenti, che non mi pare siano tutelati a dovere dai sindacati.
Abbiamo messo le mani avanti, spiega Richichi, perché non vogliamo che l’Italia faccia la fine dell’Inghilterra, dove diventa sempre più difficile consegnare le merci per l’assenza di manodopera. Sono problemi che sta iniziando a vivere tutta l’Europa, seppur in maniera minore per la migliore organizzazione del sistema dei trasporti. In Germania e in Francia, ad esempio, dopo importanti proteste lo Stato è intervenuto seriamente per regolamentare il settore. Purtroppo, in Italia, si è lasciato il ‘far west’ nel mondo del trasporto e della logistica e tutto ciò ha determinato vicende sempre più gravi, ha portato alla guerra dei poveri che scaturisce sempre nelle proteste”.
“La perifericità ci penalizza molto e non si capisce che tutto ciò si ripercuote sul prodotto. I nostri prodotti sono di nicchia, ma sono prodotti poveri: penso al sale, all’artigianato e all’ortofrutta. Ma, per ciò che serve al mondo dell’edilizia e all’industria, dipendiamo dal Nord. Pesa anche l’assenza di un adeguata struttura ferroviaria, per cui viene tutto demandato al vettore privato. Un’azienda che vuole produrre in Sicilia, qualunque sia il settore di riferimento, si trova in difficoltà. Il mondo della vendita e degli acquisti è in continua evoluzione, ma noi siamo qui a cercare di capire cosa dobbiamo fare da grandi.
Servirebbe un’aggregazione con i produttori, l’abbattimento dei costi e il contributo dello Stato, per migliore i servizi e proiettarsi nel futuro. Il lavoro più gravoso e più importante nell’ambito del traporto viene svolto, soprattutto, dalle piccole e media imprese che – tra mille difficoltà – assicurano il rifornimento di prodotti essenziali, come farmaci e alimentari. Le infrastrutture non sono adeguate a causa di problemi e di mancanze antiche, ma devo ringraziare l’Assessore Marco Falcone per il suo impegno. Grazie a lui ci sono oltre 100 cantieri aperti, quantomeno qualcosa si è mosso. Il nostro settore del trasporto, precisa Richichi, quello di chi si sobbarca lunghi e difficili viaggi sulle strade italiane, non viene calcolato. Ed è, come dicevo prima, un settore trainante che va avanti 24 ore su 24 , sette giorni su sette. Oggi, invece, gli autotrasportatori interpellati e presi in considerazione dal governo sono soltanto quelli che si limitano a fare spola tra i porti e le aziende”.
Aumenti? Il problema non è solo relativo al carburante, ma a tutte le voci di spesa. Ad esempio – prosegue Richichi – l’energia elettrica, con cui alimentiamo i muletti nei capannoni: dobbiamo far fronte ad un incremento del 30%. Senza dimenticare l’aumento dei costi di revisione per camion ed autovetture. Costi non previsti negli accordi fatti tra autotrasporto e committente. Lo stato non ha avuto la lungimiranza di elaborare un piano sui costi d’impresa. Tutto ciò, inevitabilmente, si ripercuote sul consumatore finale.
Ci obbligano a spendere dei soldi in mezzi ecologici come i camion a metano o per l’acquisto dell’AD Blue, un additivo che raffredda i gas di scarico degli automezzi. Inizialmente costava 25 centesimi al litro, oggi ne servono almeno 80 più IVA. Abbiamo dovuto acquistare i camion a metano liquido, che da meno di 80 centesimi è passato a costare oltre due euro al chilo. Oggi siamo costretti a spegnerli e a non farli uscire, conviene tornare al diesel nonostante sia anch’esso costoso. L’obiettivo è quello di ridurre l’inquinamento, e io sono d’accordo perché ho a cuore il futuro dei miei nipoti. Però, firmando certi protocolli con le altre nazioni, il governo italiano non ha tenuto conto che il nostro paese non produce le materie prime necessarie, ma dipende dall’estero. Gli stessi problemi si ripercuotono, ovviamente, sui produttori che devono affrontare rincari continui sulle materie prime”.
“Dopo il confronto con l’assessore Falcone, abbiamo aperto un tavolo: domani saremo al palazzo dell’ESA e il 17 – se tutto va bene – avremo un vertice con il sottosegretario Cancelleri. Al tavolo di domani ci sarà anche chi gestisce logistica, perché servono dialogo e cooperazione. Non andiamo a chiedere l’elemosina con il cappello in mano, chiediamo una programmazione. Da meridionali, poi, vorremmo capire come trasportare le merci, viste le mille difficoltà infrastrutturali. Penso, ad esempio, alle lunghe attese ed ai problemi che sorgono quando si deve traghettare. Siamo disposti confronti a livello regionale e nazionale. Vogliamo parlare con tutti, pure con il presidente di Confindustria. Non vogliamo fare i salvatori della patria, anche perché non dipende tutto da noi.
Chi ha responsabilità per questa terra faccia il suo compito. Da siciliano dico che non possiamo sempre essere emigranti. Potremmo bloccare tutto, ma io non voglio penalizzare i miei conterranei o creare un danno economico. Spesso vengo criticato per questa posizione, ma il mio obiettivo è ragionare e dialogare. L’aumento dei costi non può essere scaricato tutto sulla committenza, una parte è normale che lo sia, ma lo stato deve fare il suo in termine di opere infrastrutturali e di sicurezza. Non siamo noi che vogliamo il male di questa terra, le responsabilità e le colpe sono da ricercare altrove, noi non meritiamo tutto ciò”.
Vittorio Sangiorgi