Bellezza

Scrittrici di ieri e di oggi, bellezza “controcorrente”

Solitarie, eversive, controcorrente: sono tante le donne che hanno fatto della cultura e, più in particolare della scrittura, una potentissima arma per combattere storture e stereotipi.
Da Emily Dickinson a Joan Didion, da Margaret Atwood a Vittoria Ronchey, dal 1830 ad oggi: l’immaginazione si intreccia tra passato e presenta ma resta pur sempre il fil rouge, cioè il filo conduttore che lega vita ed opere, solitudini ed aspirazioni.

Ha riaperto dopo oltre due anni di lavori di ristrutturazione e ora si prevede che arriveranno frotte di visitatori, tutte esaurite le prenotazioni fino a fine anno

Il Museo Emily Dickinson di Amherst, nel Massachusetts (Usa), ha riaperto i battenti la scorsa settimana dopo oltre due anni di lavori di ristrutturazione e si prevede che arriveranno frotte di visitatori, con tutte le visite disponibili già prenotate per i prossimi quattro mesi. La poetessa statunitense, vissuta nella casa trasformata in museo tra il 1830 e il 1886, considerata tra i maggiori lirici moderni, ha goduto di una sorta di rinascita culturale negli ultimi anni.

Gli architetti che hanno curato la ristrutturazione hanno esaminato le poesie e gli altri scritti della Dickinson per trovare indizi sull’aspetto della casa durante la sua vita, cercando di ricreare l’esperienza per i visitatori.
Il team ha restaurato numerosi elementi architettonici e dettagli decorativi, tra cui la porta e le assi del pavimento originali, ha ricreato la carta da parati originale e ha installato sistemi di riscaldamento e raffreddamento ecologici.

“Ora”, ha dichiarato Jane Wald, direttrice esecutiva del museo da lungo tempo, “ogni ospite della casa di Emily Dickinson potrà vivere un’esperienza più autentica del luogo in cui fiorì il suo genio poetico“.
Costruita nel 1813 dal nonno, la casa si rivelò un punto fermo nella vita della Dickinson. Qui nacque, scrisse quasi 1.800 poesie (solo alcune delle quali furono pubblicate durante la sua vita) e trascorse la maggior parte dei suoi giorni da adulta, per lo più in isolamento.

L’eredità della scrittrice staunitense Joan Didion, scomparsa all’età di 87 anni nel 2021, verrà messa all’asta da Stair Galleries a New York il prossimo autunno. La vendita si intitola “An American Icon: Property From the Collection of Joan Didion” ed è in calendario per il 16 novembre. In catalogo vi saranno libri, mobili, arte e oggetti personali, dalla sua scrivania a vari cimeli di famiglia fino alle pentole della scrittrice che si dice amasse molto cucinare.

Tra le opere d’arte che andranno all’asta, sono inclusi lavori di Ed Ruscha, Sam Francis e Richard Diebenkorn, alcuni dei quali sono stati donati direttamente dagli artisti alla scrittrice. Vi saranno anche ritratti della Didion realizzati da fotografi famosi come Annie Leibovitz, Mary Ellen Mark, Brigitte Lacombe e Julian Wasser. Il catalogo d’asta uscirà il 31 ottobre e i lotti saranno esposti dal 4 novembre. Gli eredi della Didion intendono donare il ricavato della vendita a organizzazioni di beneficenza (i cui nomi non sono ancora stati diffusi).

Corrispondente dall’estero per i maggiori quotidiani americani e autrice di saggi di attualità politica, sociologica, culturale – “L’album bianco” (1979), “Salvador” (1983), “Miami” (1987) – Joan Didion ha dato espressione lucida e provocatoria ai problemi delle donne della sua generazione. Da “Prendila come viene” (1970) a “Diglielo da parte mia” (1977) a “Democracy” (1984), ha affinato la sua scrittura, fino a farne un duro, efficace scandaglio dell’odierno universo tecnologico.

Le sue figure femminili, isolate, straniate o in fuga, campeggiano sullo sfondo di realtà sociali o politiche stravolte che non lasciano spazi di evasione dalla storia. Nelle opere più recenti, tra narrativa e saggio, ha rievocato vicende autobiografiche: “Da dove vengo” (2003) ricorda la figura della madre; “L’anno del pensiero magico” (2005) è il lucido resoconto delle strategie messe in atto per accettare i due eventi choc che in pochi giorni hanno stravolto la sua vita: la morte improvvisa del marito e la grave malattia della figlia. I suoi libri in Italia sono stati pubblicati da il Saggiatore ed E/O.

Margaret Atwood, arriva nuova raccolta di racconti “Old Babes in the Wood”

Una nuova raccolta di racconti di Margaret Atwood, 82 anni, presentata come un’opera dal “carattere molto personale”, sarà pubblicata il prossimo anno in Usa, Canada e Gran Bretagna, il 7 marzo 2023, segnando il suo primo ritorno alla narrativa dopo “I testamenti” del 2019, sequel de “Il racconto dell’Ancella” (in italiano tradotti entrambi da Ponte alle Grazie)

La raccolta “Old Babes in the Wood” conterrà 15 racconti, alcuni dei quali pubblicati per la prima volta e quindi inediti. La storia che dà il titolo al libro, tuttavia, è stata pubblicata sul “New Yorker” e presenta due anziane sorelle riunite nel cottage di famiglia sulle rive di un lago.

Vintage, la casa editrice angloamericana, spiega che i racconti della scrittrice canadese “esplorano in profondità esperienze diverse: da due migliori amici in disaccordo per il loro passato comune al modo giusto per impedire a qualcuno di soffocare; da una figlia che stabilisce se sua madre è davvero una strega a cosa fare con un’eredità di vecchie spade da parata della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono i gatti che amiamo tanto, una lumaca confusa, Martha Gellhorn, George Orwell, la filosofa-astronoma-matematica Ipazia di Alessandria, una schiera di anziani accademici e un alieno incaricato di raccontare favole agli umani”.
Il filo conduttore della raccolta è una serie di racconti su una coppia di sposi in viaggio e sui momenti che scandiscono una lunga vita d’amore.
Margaret Atwood presenta la raccolta con queste parole: “‘Old Babes in the Wood’ contiene un po’ di tutto, come la vita. Contiene anche un cattivo gusto, come la vita. La storia di una donna con l’anima di una lumaca non riguarda forse la vecchiaia? Potrebbe essere. I cari morti sono davvero morti nel vero senso della parola? Forse no. I gatti sono quello che sembrano? Quasi mai”.

Addio a Vittoria Ronchey, ironica scrittrice che raccontò i “marxisti immaginari”

La scrittrice Vittoria Ronchey, che aveva esordito nella narrativa nel 1975 con il libro di grande successo “Figlioli miei, marxisti immaginari” (Rizzoli), ambientato nella scuola degli anni di piombo e che suscitò vivaci polemiche, è morta all’età di 96 anni nella sua casa romana.
Nata a Reggio Calabria il 23 settembre 1925 come Vittoria Aliberti, era la vedova del giornalista e scrittore Alberto Ronchey (1926-2010), ministro per dei Beni culturali nei governi Amato e Ciampi, e madre della bizantinista Silvia Ronchey. Insegnante per decenni di storia e filosofia, lasciò il liceo classico nella Bergamo Alta per seguire il marito a Roma, ottenendo l’incarico al XVI Liceo Scientifico nella borgata di Primavalle (oggi ‘Luigi Pasteur’). Qui si ambientano i fatti di “Figlioli miei, marxisti immaginari” (sottotitolo “Morte e trasfigurazione del professore”) che narra vicende surreali del mondo della scuola negli anni del post-68 come metafora della società contraddittoria di quel periodo, intrisa di rancori e contrapposizioni ideologiche tra vinti e vincitori, tra usurpati e usurpatori, tra servi e padroni.

Con quel titolo fra l’ironico e il provocatorio, Vittoria Ronchey scrisse, sotto forma di diario, il resoconto della sua frustrante esperienza di docente negli anni della contestazione e della dirompente presenza della politica all’interno della scuola, aggiudicandosi il Premio Viareggio Saggistica Opera Prima e vendendo 130mila copie. Il libro, apprezzato sia dai comunisti che dai democristiani, e persino citato da Enrico Berlinguer in un suo discorso alla Camera, offriva una disincantata riflessione sui mali della scuola italiana, a cominciare dal sistema di incarico delle docenze, passando per la didattica e i programmi ministeriali, fino ad arrivare ai fumosi e inconsistenti “metodi sperimentali” di insegnamento e al “sonno dogmatico” di stampo marxista che ottenebrava le menti non solo degli studenti, ma anche della maggior parte degli insegnanti.

Conclusa la professione di insegnante, Vittoria Ronchey si dedicò interamente alla scrittura, prediligendo la narrativa: il romanzo “1944” (Rizzoli, 1991), ambientato nella Roma occupata dai nazisti, fu inserito nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 1992. Tra le altre sue opere: “Il volto di Iside” (Rizzoli, 1993); “La fontana di Bachcisaray” (Mondadori, 1995), con cui vinse il Premio Hemingway nel 1996: “Un’abitudine pericolosa” (Mondadori, 1997); “Dodici storie di fantasmi” (Longanesi, 1999). Vittoria Ronchey ha tradotto il romanzo “La piccola Fadette” della scrittrice francese George Sand.