PALERMO – Da una parte la fuga dei cervelli migliori, che vanno a studiare negli atenei del Nord e poi non ritornano a lavorare nella terra natìa, dall’altra parte quasi un giovane su cinque abbandona gli studi prima del raggiungimento del diploma.
Una condizione drammatica per la crescita culturale ed economica della Sicilia: nel 2020 nell’Isola il 19,4% dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio di secondo grado (diploma professionale, diploma di maturità, etc.). Con questi numeri, la Sicilia si pone all’ultimo posto tra le regioni italiane per dispersione scolastica, che registrano una media del 13% di studenti che abbandonano.
La Sicilia, quindi, supera i valori medi nazionali di ben sei punti percentuali. Seguono la Campania con il 17,3% e la Calabria con il 16,6%. Una condizione che risulta ancora peggiore se si confrontano i dati con quelli delle altre regioni: Abruzzo (8%), Friuli Venezia Giulia (8,5%), Molise (8,6%) e Emilia Romagna (9,3%) sono le regioni più virtuose. Nel complesso è il nordest della penisola l’area che soffre meno di questo fenomeno sia per l’incidenza percentuale di abbandono (9,9%) che per il più basso numero in termini assoluti di “uscite” premature dal mondo della scuola (- 77mila).
In Italia sono 543 mila i giovani che l’anno scorso hanno abbandonato la scuola prematuramente. Ragazzi che nella stragrande maggioranza dei casi hanno deciso di lasciare definitivamente il percorso di studi dopo aver conseguito solo la licenza media. Una piaga sociale che non può essere associata al Covid: da molti decenni, infatti, l’Italia è tra i paesi europei con il più alto tasso di dispersione scolastica tra i giovani: nel 2020 si è accaparrata la medaglia di bronzo in negativo, dietro soltanto a Malta e Spagna.
Un problema che però viene sottovalutato fino a che non si vanno a identificarne i risvolti pratici: a dirlo è il centro studi di Mestre della Cgia, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese: come riflesso diretto proprio le piccole e medie imprese non trovano tecnici specializzati. Con i primi segnali di ripresa economica avvertiti in questi ultimi mesi, molte imprese, in particolar modo del Nord, sono tornate a denunciare la difficoltà di reperire figure professionali con elevati livelli di specializzazione. “Una problematica ascrivibile alla difficoltà di far incrociare la domanda con l’offerta di lavoro – scrivono dalla Cgia – anche perché continua a rimanere del tutto insufficiente il livello delle conoscenze e delle competenze tecniche dei nostri giovani. E nei prossimi anni, con l’avvento della cosiddetta rivoluzione digitale, queste criticità rischiano di assumere dimensioni ancor più preoccupanti”.
Secondo gli ultimi dati presentati da Unioncamere, su un milione e 280 mila nuove assunzioni previste dalle imprese italiane tra luglio e settembre di quest’anno, quasi il 31 per cento sarà difficilmente reperibile. In termini assoluti stiamo parlando di circa 400 mila posizioni lavorative inevase. All’oltre mezzo milione di studenti che hanno abbandonato prematuramente la scuola, si aggiungono i 68 mila giovani con un titolo di studio medio-alto che, invece, si sono trasferiti all’estero per ragioni di lavoro.
“Due problematiche estremamente delicate che – concludono dalla Cgia – purtroppo, continuano ad avere livelli di attenzione molto diversi da parte dell’opinione pubblica. Se l’abbandono scolastico non è ancora avvertito come una piaga educativa con un costo sociale importante, la “fuga” all’estero di tanti giovani diplomati o laureati lo è, sebbene il numero della prima criticità sia molto superiore a quello della seconda”.