“Ciao Giorgia”.
“Ciao”.
“La visita che mi hai fatto a Catania nel 2018 ti ha portato fortuna”. “Allora verrò di nuovo”.
“Ti aspetto”.
Questo è il siparietto avvenuto lo scorso primo giugno in occasione del ricevimento per la Festa della Repubblica che il Presidente Mattarella fa organizzare ogni anno.
Perché vi ho parlato del rapido incontro con la presidente Meloni? Perché intendo commentare brevemente la riforma costituzionale che porta al Premierato.
Nel nostro Paese vi sono stati sessantotto Governi in settantasei anni; un’enormità se consideriamo che negli Stati Uniti dal 1789, quando fu eletto il primo presidente George Washington, fino a Joe Biden, i presidenti sono stati appena quarantasei.
La breve durata dei nostri Governi (in media poco più di un anno) non ha consentito all’Italia di modernizzarsi adeguatamente, adottando le indispensabili riforme di cui ha bisogno e di cui si parla continuamente, senza mai realizzarle.
La riforma costituzionale che intende istituire l’elezione diretta del presidente del Consiglio è certamente buona, perché una volta eletto, egli rimarrebbe in carica per tutta la durata della legislatura – che, come è noto, è di cinque anni – e ciò consentirebbe non solo di fare le riforme, ma anche di effettuare programmi poliennali a dieci e quindici anni di cui il Paese ha bisogno e che invece si rinviano continuamente.
Inoltre, è risaputo che oltre ai due poteri previsti dalla Costituzione, legislativo ed esecutivo e all’ordinamento giudiziario (che non è un potere), esiste un potere occulto che probabilmente è il più forte di tutti e cioè quello della burocrazia.
Perché è il più forte? Perché i dirigenti pubblici e in genere funzionari e dipendenti sopravvivono al cambiamento dei Governi, per cui, quando arrivano i nuovi ministri, vice ministri, sottosegretari e nuovi Gabinetti, sono del tutto impreparati/e ad attuare il nuovo programma, perché trovano il muro di gomma di una burocrazia che continua a esercitare il proprio potere per gestire se stessa.
Cosicché, i ministri non fanno il proprio dovere, che è quello di rappresentare gli interessi dei/delle cittadini/e, bensì sono vittime degli interessi nefasti della burocrazia.
Si scriveva, sì al Premierato, ma così com’è nasce zoppo perché, contrariamente alle altre democrazie, come quella nordamericana o francese, al nostro Governo è consentito di legiferare non solo con i Disegni di legge, che dopo l’autorizzazione del Presidente della Repubblica (articolo 87 Costituzione) vengono inviati al Parlamento, ma e soprattutto con i Decreti legge che entrano in vigore immediatamente dopo l’approvazione.
Cosicché, questa abitudine di emettere Decreti legge, che è diventata più intensa giorno dopo giorno, di fatto ha svuotato le funzioni del Parlamento che, seppure ha il potere di modificarli, non lo può fare concretamente, in quanto il Governo esercita un forte potere attraverso i/le rappresentanti/e dei propri partiti nelle varie Commissioni e nelle Aule.
È vero che le Commissioni dovrebbero servire gli interessi generali, ma è anche vero che nella realtà esse subiscono le pressioni dei gruppi di potere di coloro che hanno interessi economici affinché una legge vada in una direzione piuttosto che in un’altra, per cui spesso vengono approvate quelle degli interessi di parte.
Abbiamo scritto che in Italia vi sono due poteri ufficiali (legislativo ed esecutivo) e uno nascosto (quello burocratico), ma quando il potere esecutivo si trasforma nella sostanza nel potere legislativo, esautorando il Parlamento, è evidente che supplisce a una funzione indebitamente, con la conseguenza che, ripetiamo, prevalgono gli interessi particolari.
Buonsenso vorrebbe che la riforma, che prevede l’elezione diretta del Primo Ministro, contemplasse contestualmente il divieto da parte del Governo di emettere Decreti legge.
Negli Stati Uniti il presidente, che ha poteri enormi, non può fare leggi, demandate esclusivamente al Congresso; al massimo ha diritto di veto non definitivo sull’approvazione di particolari norme.
Ecco, se non si toglie il potere occulto del Governo, che è quello legislativo, la riforma del Premierato rischia di concentrare in esso una forza contraria all’equilibrio democratico, cioè quello della separazione dei poteri descritta da Montesquieu (1689-1755).