PALERMO – La prima bandierina rossa era calata in pista lo scorso 9 febbraio quando la Regione siciliana aveva, nel corso di una seduta di giunta, dichiarato lo stato di calamità naturale da siccità severa nell’intero territorio regionale su proposta dell’assessore all’Agricoltura Luca Sammartino evidenziando che la Sicilia è l’unica regione d’Italia, e tra le poche d’Europa, in zona rossa per carenza di risorse idriche con una situazione analoga a quella del Marocco e dell’Algeria.
La conferma, drammaticamente rappresentata dai dati, è arrivata circa due settimane dopo quando, il 23 febbraio, la stessa Regione ha pubblicato sul suo sito i dati degli invasi della Sicilia aggiornati al 1° Febbraio 2024 dalla cui lettura emerge che, a fronte di una capacità complessiva pari a 101,70 Mmc dei 29 invasi siciliani, il monitoraggio ha indicato che il volume di acqua contenuto è di soli 297,54 Mmc, in calo anche rispetto al dato del 2023, sempre relativo al mese di febbraio, che era di 384,35.
Prende il via ora, nell’isola, un nuovo piano razionamento che interesserà complessivamente 93 Comuni serviti da Siciliacque, compresi nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani, per un bacino di circa 850mila residenti. Siciliacque ha annunciato che sono tre i cantieri per la trivellazione di nuovi pozzi già aperti: a Caltabellotta (AG), al campo Favara di Burgio (AG) e in contrada Zacchia, a Prizzi (PA). In quest’ultimo i lavori sono cominciati da pochi giorni. Inoltre, sono in corso nuove ricerche idriche nel Palermitano, sul monte Carcaci fra Prizzi e Castronovo. Nel frattempo, è stato definito con l’Autorità di bacino un nuovo piano di razionamento, dopo quello scattato a inizio gennaio. Si tratta di una misura di emergenza che porterà a ridurre le forniture d’acqua al fine di garantire a tutti i territori l’approvvigionamento e, contemporaneamente, accelerare gli interventi per mitigare la siccità.
Le riduzioni della portata d’acqua sono comprese fra il 10% e il 45%, sulla base degli acquedotti che alimentano i serbatoi comunali. Le punte maggiori di riduzione sono previste in 15 centri del Nisseno e dell’Agrigentino che dipendono dal sistema Fanaco il cui invaso, a fonte di una capacità di 20,70 Mmc, contiene solo 2,22 Mmc di acqua, poco più del 10%.
La decisione, presa di concerto con le autorità regionali, è conseguente alla situazione di severità idrica in atto in Sicilia e tende a conciliare il soddisfacimento del fabbisogno delle persone con la necessità di salvaguardare gli invasi. Siciliacque, come concordato con l’Osservatorio sugli utilizzi idrici del distretto idrografico della Sicilia, ha da tempo avviato una serie di lavori per fronteggiare la crisi idrica. Entro il mese di marzo è prevista la conclusione della trivellazione a Caltabellotta di un nuovo pozzo, gemello a quello franato in zona Callisi. Entro aprile si prevede di rendere operativo l’altro pozzo sulla falda Favara di Burgio. Infine, per la metà di maggio è in programma il ripristino della funzionalità dei pozzi Zacchia a Prizzi.
Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire anche a fronte di una politica regionale che continua a ritenere il rifornimento pluviale la prima fonte di approvvigionamento idrico, quando una politica organica relativa ai depuratori avrebbe permesso il recupero delle acque reflue che, come indicato da Tania Tellini, coordinatrice delle attività del settore acqua di Utilitalia in una recente intervista rilasciata al QdS, rappresenta “sicuramente una delle armi, trattandosi di una produzione di risorsa complementare che ci permette di non sfruttare risorse idriche di alta qualità utilizzabili nell’approvvigionamento idropotabile o di sostituirle in mancanza di risorse idriche primarie”. “In una logica di distretto, di bilanci idrici e fabbisogni complessivi – ha proseguito Tellini – è necessario tenere conto che l’acqua di depurazione è prodotta 365 giorni all’anno mentre, ad esempio, l’agricoltura la richiede solo in determinati periodi dell’anno. Bisognerà quindi prevedere il suo stoccaggio nei periodi di minor richiesta, per renderla disponibile nei momenti di maggior necessità utilizzando gli invasi naturali o artificiali o vasche costruite ad hoc”.
A proposito della situazione dei sistemi di depurazione nell’isola, l’ingegner Salvatore Caldara, Responsabile UOC Valutazioni e pareri ambientali di Arpa Sicilia, in una sua intervista al QdS ha dichiarato che “per quel che risulta all’Agenzia, circa il 20% degli impianti opera attualmente con autorizzazione allo scarico in corso di validità. Tutti gli altri operano in assenza di autorizzazione o con autorizzazione attualmente scaduta o sono stati già destinatari di decreti di diniego allo scarico da parte dell’Autorità Competente, l’Assessorato dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità – Dipartimento dell’acqua e dei rifiuti – DRAR. Va anche ricordato, però, che in alcuni casi gli Enti gestori o i Comuni hanno regolarmente richiesto il rinnovo dell’autorizzazione ma l’iter amministrativo di autorizzazione non risulta ancora concluso”. Depuratori fuori servizio, rete idrica fatiscente – l’Istat indica in Sicilia una dispersione pari al 52,5%- e invasi vuoti. Così si alimenta il mercato delle acque minerali la cui estrazione lo scorso anno, solo nell’isola, è cresciuta del 37,3%. Ma l’acqua, non era un bene pubblico?