PALERMO – “La siccità è la prima causa di carestie nel mondo che, per effetto dei cambiamenti climatici e senza adeguate infrastrutture, rischia di diventare un fenomeno endemico anche nel Sud Europa”. È quanto dichiara il direttore generale dell’Anbi, l’Associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue, Massimo Gargano, in occasione della Giornata mondiale della Terra.
“È necessario aumentare la capacità di stoccare l’acqua quando c’è, per utilizzarla nei momenti di bisogno”, spiega Gargano, secondo il quale occorre adottare politiche di controllo capaci di garantire la produzione di cibo, la coesione tra Regioni e Stati, la sicurezza alimentare per favorire il contenimento dei flussi migratori provocati dal fabbisogno idrico.
Anche perché, ricorda il presidente dell’Associazione, Francesco Vincenzi, “su una popolazione mondiale di oltre 7,5 miliardi, circa 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, mentre 2,5 miliardi non ne dispone a sufficienza per le pratiche igieniche ed alimentari”.
Intanto per quanto riguarda lo stato delle risorse idriche in Italia, secondo il bollettino dell’Anbi, cresce la preoccupazione per la portata del fiume Po dimezzata rispetto alla media storica e inferiore del 20% sull’anno scorso, ma è il Sud a pagare il prezzo più alto dove la stagione irrigua 2020 appare irrimediabilmente pregiudicata in Puglia, Basilicata e Sicilia.
Nell’Isola per due mesi consecutivi, a gennaio e febbraio di quest’anno, non è praticamente caduta una goccia d’acqua, tanto che si è trattato – stando a quanto affermato dall’Osservatorio regionale delle acque – dei mesi più asciutti degli ultimi cento anni.
Il quadro è migliorato a marzo grazie a precipitazioni più consistenti e, come riportato dall’Autorità di bacino, “quasi ovunque superiori alle medie”. Le piogge “hanno consentito un incremento di volumi disponibili che ha interessato, tra l’altro, alcuni dei bacini più importanti sia ai fini degli approvvigionamenti idro-potabili sia delle attività irrigue”. Nel dettaglio, al primo aprile gli invasi gestiti dalla Regione hanno accumulato 578,33 milioni di metri cubi di acqua recuperando un’importante quota rispetto a marzo quando si erano fermati a 533,41. Il livello resta così poco più basso rispetto allo scorso anno, quando furono raggiunti 639,96 milioni di metri cubi, ma la crisi è scongiurata.
Secondo gli esperti della Regione, dato che anche all’inizio di aprile si osservano ancora deflussi significativi verso gli invasi, si può “guardare con relativa tranquillità al periodo estivo”.
Un miglioramento che però potrebbe non bastare a contenere il rischio di desertificazione dell’Isola. Secondo un recente studio del Cnr, in Sicilia le aree a rischio desertificazione costituirebbero il 70% del territorio. Il Governo Musumeci per scongiurare questa possibilità, la scorsa estate si è dotato di un Piano operativo, secondo il quale le “aree critiche” rappresentano oltre la metà dell’intera regione (56,7%) e un altro terzo (35,8%) è classificato come “fragile”. Le zone più a rischio sono a loro volta suddivise in “meno critiche” (identificate come C1) pari al 17,7%; “mediamente critiche” (C2) con il 35%; “maggiormente critiche” (C3) con il 4% dell’intera superficie dell’Isola.