PALERMO – A Catania lo scorso anno non è piovuto un goccio d’acqua per ben 318 giorni, un record che non ha eguali in nessuna altra parte d’Italia. La temperatura più alta del Paese è stata registrata ad Augusta, in provincia di Siracusa, dove il termometro ha raggiunto la vetta bollente dei 44°C. In generale l’estate 2019 è stata la più calda di sempre in Sicilia. I numeri contenuti nell’ultimo rapporto sul clima di Ispra, l’Istituto nazionale per la protezione dell’ambiente, fotografano un’Isola dove non si può più parlare semplicemente di “rischio siccità” o di “pericolo riscaldamento”, perché si tratta di fenomeni già ampiamente in atto e rispetto ai quali poco o nulla è stato fatto.
Questo nonostante le cause siano note: le emissioni di gas serra prodotte da industrie pesanti e auto inquinanti, il consumo di suolo che determina la perdita di servizi ecosistemici (in primis la capacità degli alberi di catturare e trattenere l’anidride carbonica), il cattivo smaltimento dei rifiuti, gli incendi boschivi che anche questa estate sono tornati a flagellare la regione.
Dal 15 giugno ci sono già stati 2000 interventi dei Vigili del fuoco nell’Isola, il maggior numero del Paese, quanto Puglia e Lazio insieme. Gli ultimi roghi sono divampati la scorsa domenica in provincia di Palermo, dove hanno distrutto diversi ettari del bosco Balata a Borgetto e altri sul Monte San Calogero, nei pressi di Termini Imerese.
SICILIA ASSETATA
Quello della siccità rischia di diventare il problema più grave dell’Isola. Quest’anno, come reso noto dal Dipartimento regionale delle acque, i mesi di gennaio e febbraio sono stati i più asciutti degli ultimi cento anni. Si rischia di superare il “record” del 2019 quando ci sono stati 97 giorni secchi consecutivi (cioè precipitazioni giornaliere inferiori o uguali a 1 mm). Una tendenza che aggrava l’allarme lanciato lo scorso anno dal Cnr sul rischio desertificazione dell’Isola: in pericolo il 70% del territorio, con oltre il 50% in condizioni già critiche.
MOBILITA’ INSOSTENIBILE
Seppure il surriscaldamento del Pianeta è un fenomeno globale, pesano eccome le politiche locali. Cartina di tornale è stato il lockdown che ha costretto milioni di cittadini a casa per fermare la diffusione del contagio da coronavirus. Come hanno dimostrato i dati dell’Arpa siciliana, tra marzo e aprile, in piena pandemia, si è osservata una netta riduzione dei veleni presenti nell’aria, con un abbattimento delle concentrazioni di ossidi di azoto (Nox) e di benzene addirittura superiori al 60%, in particolar modo nelle grandi città come Palermo e Catania. Questo perché si tratta di sostanze nocive prodotte dai gas di scarico di auto e moto. A tal proposito è sufficiente ricordare che, a livello nazionale, secondo numeri Ispra riportati nell’annuario 2019, un quinto delle emissioni di gas serra è “merito” dei trasporti. Un dato che preoccupa maggiormente in una regione come la Sicilia che ospita fette importanti, rispetto al parco veicoli complessivo, di auto con gli standard emissivi più elevati.
I numeri, infatti, dicono che un’auto su tre in Sicilia rientra tra l’Euro 0 e l’Euro 2, gli standard di “vecchia generazione” che determinano emissioni maggiori rispetto al resto del parco autovetture. L’Euro 0, inoltre, incide ancora più del 10% sul totale del parco regionale – riescono a fare peggio solo Campania e Calabria – e addirittura supera il 30% per quanto riguarda i veicoli industriali. I tecnici dell’Ispra spiegano che le differenti tipologie di auto determinano “un’elevata variabilità sia delle emissioni per chilometro percorso, sia della percentuale di abbattimento delle emissioni regolamentate (monossido di carbonio, ossidi di azoto, composti organici volatili e particolato) che aumenta man mano che si sale nella classe ‘Euro’”.
In questo contesto “l’ecobonus” per la rottamazione delle auto potrebbe sostenere il necessario ricambio delle vetture, ma la misura – dopo un balletto durato per mesi e con le concessionarie che stanno risentendo di questo clima di “sospensione” – non è ancora definitiva. La Camera ha approvato il decreto Rilancio con gli emendamenti che includono gli incentivi, ora la palla passa al Senato dove il testo approderà proprio oggi. Mancano quattro giorni: se Palazzo Madama non lo licenzierà entro il 18 luglio, il beneficio decadrà. E in ogni caso non basterà. Per “tornare” ai livelli di aria pulita respirata nel corso del lockdown, servirà uno sforzo decisivo anche sul trasporto pubblico locale. Passi avanti sono stati fatti a Catania, con bus meno inquinanti e l’ampliamento della metropolitana, ma ancora manca una vera strategia e spostarsi all’interno dell’Isola in treno spesso si trasforma in un incubo. Basta un solo esempio: per andare da Trapani a Siracusa ci vogliono 11 ore e mezzo (più di un Catania-Roma che attraversa lo Stretto!).
CONSUMO DI SUOLO
Il cemento non sottrae soltanto porzioni di territorio, ma comporta tutta una serie di danni collaterali all’ambiente: dal mancato stoccaggio e sequestro del carbonio alla perdita di qualità negli habitat, da una minore produzione agricola e legnosa fino alla riduzione dell’impollinazione, dalla regolazione del microclima fino alla rimozione dei veleni dell’aria, come particolato e ozono.
Il fenomeno nell’Isola non si è mai arrestato, tanto che negli ultimi anni la percentuale di territorio “impermeabilizzato” è cresciuta: +0,16% tra 2017 e 2018 secondo l’ultimo aggiornamento Ispra. Una percentuale apparentemente piccola ma che significa 300 ettari di territorio in meno in un anno, una superficie grande quasi quanto il Parco della Favorita a Palermo o quanto 50 volte la Villa Bellini di Catania.
A livello nazionale si parla di 2 mq “sbranati” ogni secondo. Nonostante la Sicilia sia in linea rispetto alla media nazionale, la crescita del consumo di suolo appare eccessiva se parametrata al Pil regionale e al numero di lavoratori. Un’analisi di Arpa Sicilia ha evidenziato che l’indice di suolo consumato (ettaro/mln di euro di pil) vale 2,12 in Sicilia, 1,34 in Italia, mentre il dato relativo al rapporto con gli addetti nelle costruzioni (ettari/addetto alle costruzioni) vale 1,12 contro lo 0,43 del dato nazionale.
E i danni non sono soltanto ambientali, ma anche economici. Secondo Ispra è possibile quantificare ogni ettaro di suolo consumato in una cifra compresa tra 30 e 44 mila euro circa. È stato stimato che nel quadriennio 2012-2016, il cemento è costato un occhio della testa all’Isola: tra 40 e 70 milioni di euro.
SMART WORKING, PRO E CONTRO
Un’altra soluzione, sperimentata nei mesi più duri dell’epidemia Covid-19 per fermare il contagio, è quella del cosiddetto “lavoro agile”. Una misura che indirettamente ha determinato anche un beneficio ambientale, grazie al minor numero di spostamenti. Uno sondaggio su 10.480 dipendenti di Ispra e di tutte le Agenzie ambientali regionali e provinciali – a cui hanno risposto quasi 4.000 lavoratori – ha permesso di stimare, tra l’1 marzo e il 31 maggio, il taglio di 1.884 tonnellate di CO2 (un italiano in media ne consuma 7,1 tonnellate all’anno), la stessa che avrebbero risparmiato “269 dipendenti se avessero deciso di vivere completamente a emissioni zero” oppure “se tutti i 10.480 dipendenti del Snpa avessero piantato 18 alberi a testa, o mangiato 31.400 Kg di carne in meno, o ancora percorso 16 milioni di Km in meno con la propria auto”.
Dall’Isola hanno risposto 265 persone sui 333 dipendenti (circa l’80% del totale) da 13 diverse sedi. Secondo la graduatoria stilata, in termini di emissioni ridotte per agenzia (tonnellate di CO2), la Sicilia si collocherebbe al quarto posto, dopo Ispra, Veneto e Lombardia. Il dato risulta discretamente diverso nella graduatoria più realistica che misura le riduzioni di emissioni per dipendente: qui la Sicilia è al primo posto con quasi 500 kg di emissioni di CO2 in meno pro capite. E questo dipende soprattutto dal tipo di mobilità più diffusa nell’Isola: qui i dipendenti preferiscono di gran lunga i mezzi privati per muoversi (sono scelti dal 79% dei lavoratori contro il restante 21% che dichiara di spostarsi con vetture pubbliche).
Considerando che 265 persone hanno risposto al questionario dell’Arpa, facendo registrare un risparmio di circa 170 tonnellate di CO2, è verosimile stimare che un telelavoro ragionato sui circa 14 mila dipendenti regionali avrebbe potuto portare – con tutte le particolarità del caso – a un taglio di circa 9 mila tonnellate di CO2, pari ai consumi di circa 1.200 persone (mediamente un cittadino consuma 7,1 tonnellate di CO2 all’anno). Moltiplicando questo risparmio per tutto l’anno – nel caso di una misura stabile intrapresa dalla Regione – i risparmi sarebbero pari a circa 36 mila tonnellate di anidride carbonica.
Un taglio tutto sommato modesto rispetto alle notevoli ripercussioni che lo smart working ha avuto soprattutto sulla piccola economia locale, fatta principalmente di ristoranti, bar e altre botteghe su strada. Probabilmente la soluzione migliore è quella di investire sempre di più in trasporti pubblici, incentivando i dipendenti a spostarsi con essi per recarsi a lavoro.