Il programma operativo 2014-2020 del Fesr Sicilia precipita verso il disimpegno automatico delle risorse.
Lo afferma si afferma in una nota informativa della Regione Siciliana che sarà presentata il prossimo 18 giugno al partenariato economico e sociale.
Le risorse complessivamente assegnate al programma ammontano, dopo la rimodulazione dello scorso dicembre, a 4.273.038.775 euro.
La spesa certificata al 31 dicembre 2018 è di 734.175.993 euro, ossia appena il 17,18%.
“Siamo, val la pena di ricordarlo, al penultimo dei sette anni di durata del ciclo programmatorio – ha spiegato l’economista Franco Garufi in un’analisi pubblicata sul sito del Centro studi Pio la Torre – è vero che il meccanismo N+3 consentirà di spendere fino al 2023, intrecciandosi con il programma successivo, ma si può dire senza tema di smentita che la spesa europea in Sicilia continua a non funzionare e i ritardi si sommano ai ritardi”.
Il dato maggiormente negativo arriva dall’Asse 1: ricerca, sviluppo ed innovazione tecnologica, che rappresentano il futuro del sistema produttivo, ha una percentuale di spesa certificata pari al 2,8%.
All’estremo opposto l’Asse 7 “sistemi di trasporto” che una spesa certificata al 45% “Ma non son tutte rose e fiori – continua Garufi – basta infatti andare a pagina 5 del documento per scoprire che il superamento del target di spesa dell’anno scorso è stato possibile dall’inserimento del grande progetto ferroviario afferente alla cosiddetta tratta B della ferrovia Palermo-Carini, del grande progetto per la strada statale 640 e di una batteria di interventi nel settore idrico e della depurazione e delle iniziative di riqualificazione del patrimonio di edilizia scolastica individuate nell’ambito della programmazione nazionale unitaria”.
Tutte opere utilissime, ma già finanziate con fondi nazionali: “insomma si è fatto ricorso al vecchio e sempre utile artificio tecnico dei ‘progetti sponda’ o ‘coerenti’ – chiosa Garufi – che turano le falle della spesa regionale attraverso mere partite di giro tra flussi di risorse europee e nazionali per lo sviluppo”.
Il 22 maggio scorso l’allarme sulla scarsissima richiesta di fondi europei era stato lanciato anche dall’eurodeputata del Pd – riconfermata nelle ultime elezioni Ue – Caterina Chinnici, che aveva sottolineato l’insufficiente performance della Sicilia spiegando come dietro ci fosse un problema di informazione e di formazione.
Da qui l’organizzazione di un workshop nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo (nella foto) sul tema “Sicilia chiama Europa 2.0” che aveva appunto lo scopo di informare e formare.
“Per cogliere le opportunità – aveva detto l’eurodeputata – è fondamentale sapere come strutturarsi, anche attraverso il partenariato, come impostare una proposta progettuale, come rispondere agli avvisi europei”.
Da qui l’idea di proporre “azioni formative e informative” come lo stesso workshop palermitano “per dare ai vari operatori economici dell’Isola alcuni strumenti di conoscenza, per esempio su standard progettuali e procedure, essenziali per poter usufruire dei finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea”.
Un’opportunità non soltanto economica, “ma anche un modo per mettere in gioco i grandi talenti e le intelligenze di cui la nostra regione è ricca”.
Per quanto riguarda i fondi diretti, la bassa percentuale di soggetti beneficiari in Sicilia, secondo Caterina Chinnici si spiega soprattutto “con una poca conoscenza dei progetti europei e con le difficoltà nel destreggiarsi tra le regole e i criteri stabiliti dai bandi”.
“Un dato deve fare riflettere – ha concluso l’eurodeputata del Pd – ed è quello che nel 2015 sono stati 83 i progetti finanziati a operatori siciliani, tra i quali alcuni Comuni, gli atenei di Palermo e Catania e il consorzio Arca. Nello stesso periodo sono stati 831 quelli finanziati nella sola provincia di Milano”.