Bella e dannata: si può definire così la stagione estiva 2021 in terra sicula.
Il caldo intenso, torrido, a tratti invivibile, sta dominando in questo periodo dell’anno l’intero territorio isolano, dalle coste all’entroterra, divenendo causa di veri e propri disastri ambientali.
Uno di questi riguarda il prosciugamento di fiumi e laghi, messi a dura prova da un così lungo periodo di siccità e dalle elevate temperature, e la derivante perdita dei relativi ecosistemi.
La riduzione dell’altezza delle acque è una prima conseguenza della mancanza di piogge, ma in tali circostanze l’opera di manutenzione può assumere un ruolo determinante nello stato di salute dei corpi idrici.
A spiegarlo è Giovanni Vacante, dirigente UOC Acque interne, Suolo e biodiversità dell’ARPA Sicilia.
“L’estate 2021 è la più calda degli ultimi vent’anni ma è anche vero che, nello stesso periodo, abbiamo assistito all’alternarsi di annate fortemente piovose, a volte caratterizzate da fenomeni intensi, alcuni catastrofici, e annate estremamente calde e asciutte, come quella in corso, che hanno messo a dura prova sia le attività agricole e zootecniche che gli ecosistemi naturali. L’effetto più immediato della prolungata mancanza di piogge – prosegue – è la diminuzione, e a volte l’azzeramento, della portata dei fiumi e la riduzione del tirante idrico (ossia l’altezza dell’acqua) degli invasi. Tali circostanze, se non accompagnate da misure adeguate di gestione dei corpi idrici superficiali e sotterranei, dalla manutenzione per contrastare l’interrimento degli invasi al razionale prelievo di acqua ai fini irrigui ed industriale, rischiano di amplificare i loro effetti più acuti”.
A risentire di questo periodo di caldo torrido e siccità sono stati in particolare il fiume Alcantara, che già lo scorso anno ha dovuto affrontare un importante periodo di secca e che anche in questa stagione sta prosciugandosi per ampi tratti, e la diga Pozzillo, tra i bacini artificiali più grandi dell’isola trasformatosi in una piccola macchia di blu.
“Le acque che giungono alla foce del fiume Alcantara sono raccolte da un bacino idrografico, delimitato dai monti Peloritani, dai Nebrodi e dall’Etna, che si estende per circa 560 km² sul versante orientale della Sicilia e comprende al suo interno 10 corpi idrici significativi, dei quali 4 individuati sull’asta principale.
Il territorio attraversato da quest’ultima è quasi interamente inserito tra le zone vulnerabili da nitrati. Tutti i corpi idrici dell’Alcantara – ci racconta il dott. Vacante – sono stati oggetto di monitoraggio per la valutazione dello stato ecologico e dello stato chimico (secondo della categoria di rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità, che nella maggior parte dei casi è del livello ‘buono’) almeno una volta nel periodo considerato dal Piano di gestione del distretto idrografico della Sicilia (2010-2019), i cui risultati prevalentemente mostrano un giudizio ‘sufficiente’ per lo stato ecologico e ‘non buono’ per lo stato chimico.
Le cause del mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità sono da ricercare nella presenza di scarichi urbani non depurati e di pressioni agricole significative. In tale situazione – aggiunge -, il precoce e prolungato disseccamento di tratti del corso d’acqua, causato anche dalle repentine variazioni del flusso per l’eccessivo prelievo di acqua, costituisce una seria minaccia per il mantenimento in buono stato delle comunità acquatiche e la conservazione degli habitat”.
“L’invaso Pozzillo ricade all’interno del bacino idrografico del Simeto e Lago di Pergusa nel territorio comunale di Regalbuto e Agira, in provincia di Enna, ed è stato costruito sbarrando il corso del Fiume di Sperlinga.
Le sue acque vengono impiegate a scopo energetico ed irriguo da diversi comuni della provincia di Enna, Catania e Siracusa. Nel ciclo di monitoraggio per la prima caratterizzazione finalizzato al Piano di Tutela (2005-2006), effettuata ai sensi del D.Lgs. 152/99, la qualità è risultata scadente. Dai dati di monitoraggio ripetuto nel 2015 e nel 2017, l’invaso complessivamente non raggiunge lo stato ‘buono’ essendo in stato ecologico ‘sufficiente’ a causa di un elevato carico trofico (LTLeco non conforme) ed in stato chimico ‘non buono’ a causa della elevata concentrazione di piombo e mercurio.
L’analisi integrata dello stato, delle pressioni e degli impatti consente di affermare che il corpo idrico necessita di un adeguato programma di misure per la diminuzione degli impatti e per il ripristino dello stato ambientale. Una situazione non circoscritta solo a queste due realtà – specifica – ma analoga a tutti i corpi idrici regionali. Risentono infatti fortemente della siccità che stiamo subendo in questa particolare annata a cui si aggiunge la non oculata e irrazionale gestione delle pressioni antropiche, siano esse qualitative che quantitative”.
Fiumi e laghi sono habitat naturale di innumerevoli specie acquatiche, il loro quasi totale prosciugamento mette pertanto in difficoltà la fauna ittica.
Sebbene, infatti, “le comunità acquatiche che vivono nei nostri fiumi sono adattate – spiega il dirigente UOC Acque interne, Suolo e biodiversità dell’ARPA Sicilia – al loro carattere torrentizio e, di solito, grazie alle aree rifugio, riescono a superare la stagione secca” in tale contesto “ la riduzione progressiva delle portate comporta l’essiccamento precoce dell’alveo che si prolunga ben oltre l’estate fino a prosciugare del tutto le aree umide.
Le temperature elevate fanno il resto, trasformando le ultime pozze che resistono in vere e proprie ‘pentole’ dove i pesci si trovano senza l’ossigeno necessario alla loro esistenza. L’eventuale prosciugamento delle zone di frega, insieme alla moria degli adulti, metterebbe a dura prova la resilienza delle comunità ittiche.
Aggiungiamo che ogni tipologia (dighe, briglie, salti) di sbarramento dell’alveo, senza alcuna misura di mitigazione degli effetti, interrompe il continuum fluviale e determina il peggioramento dello stato di qualità legato alla fauna ittica”.
Diventa fondamentale un’oculata e mirata gestione dei diversi bacini al fine di tutelarne gli ecosistemi e assolvere al tempo stesso alle funzioni idriche. “Alle nostre latitudini, la costruzione degli invasi ha avuto come finalità proprio quella di dare una risposta al fabbisogno di acqua, sia per scopi potabili che irrigui, nel periodo estivo, allorquando è maggiore la richiesta.
A questi scopi oggi è diventato non più procrastinabile aggiungere quello di garantire il deflusso minimo ecologico necessario al mantenimento degli ecosistemi acquatici.
Gli invasi tuttavia devono potere assolvere alle loro funzioni: da un lato immagazzinare quanta più acqua possibile e dall’altro deve essere garantito un idoneo ‘razionamento’ dei rilasci e/o dei prelievi quantitativi.
Il nemico del primo è principalmente il trasporto solido della corrente che, determinando l’interrimento dell’invaso, ne riduce la capacità di accumulo di acqua; il secondo, invece, ha più nemici. Oltre alla mancanza di conoscenza sulle quantità necessarie a garantire il mantenimento degli ecosistemi acquatici, spesso si assiste all’irrazionale gestione dei prelievi/rilasci dall’invaso e, soprattutto, il tratto di fiume a valle dell’invaso intensamente antropizzato è interessato da numerose adduzioni idriche sia in attesa di autorizzazione che abusive. La corretta gestione degli invasi, compresa la gestione dell’apporto solido, può migliorare la situazione limitando il disagio.
Contestualmente, evitare l’eccessivo accumulo dei sedimenti, con il loro ‘bagagli’ di sostanze nutrienti ed, eventualmente, di inquinanti, può migliorare anche lo stato ecologico degli invasi. Infine, nei casi estremi, per evitare quello che è successo nell’invaso Sciaguana, dove l’essiccamento ha comportato una massiccia moria di pesci, si può prevedere un tempestivo trasferimento momentaneo o definitivo ad altri invasi”.
Alessandra La Farina