In principio fummo laboratorio. Lo Statuto siciliano del 1947 fu esperimento prodromico dell’alto compromesso poi affinato nella Costruzione Italiana del 1948. La politica siciliana ha dato influenti personaggi all’Italia.
Da Crispi a Vittorio Emanuele Orlando, Alessi, Scelba e i due Mattarella per fare sintesi. Ed è sempre stata fulcro o anticipazione di cambiamenti sistemici.
Il mattarellum, che introdusse per primo principi maggioritari in Italia, lo ha scritto un siciliano che conosciamo bene. Gli esperimenti di laboratorio siciliano di centrosinistra furono poi replicati a livello nazionale. Perfino il populismo nacque in Sicilia, molto prima che Grillo attraversasse a nuoto lo Stretto.
Ma se oggi qualcuno chiedesse ai leader politici nazionali quale sintesi dare alla politica siciliana la parola più rappresentativa sarebbe “camurria”. La parola è indicativa di noia, seccatura, fastidio, in siciliano. Probabilmente è una parola di origine latina, da gonhorrea, indicativa di fastidiosissima malattia venerea probabilmente presa in un bordello.
E la Sicilia politica assomiglia molto a quelle case chiuse dalla legge Merlin, in cui l’afasia più che l’afa genera isterismi e rivalità, anche se gli sprezzanti leader italiani dovrebbero rileggersi Dante, e soprattutto i giornali stranieri per capire se stessi.
Certo passare da laboratorio di influenza a scocciatura non va certo a merito della classe dirigente siciliana, incapace per molti versi e con rarissime eccezioni di incidere sulle strategie nazionali, Mattarella escluso. E forse proprio per questo primato il gap è più evidente.
La questione delle regionali è un problema per tutti gli schieramenti. Per il centrosinistra dopo la spaccatura tra PD e 5 stelle, per il centrodestra se la Meloni insiste su Musumeci. Ad oggi in campo c’è solo la Chinnici e Cateno De Luca, ma c’è chi scommette su almeno altri 3 prossimi candidati.
La legge elettorale regionale, un unicum in Italia, non prevede ballottaggio, chi prende un voto in più vince. Ma spesso, quasi sempre, non governa, sempre per dare quell’aria di bordello permanente.
Ieri Berlusconi, Salvini e Meloni hanno trovato la quadra del centrodestra proprio perché non hanno parlato di Sicilia, se no si rompevano i tavolini, come si dice da noi. E loro avevano cose più interessanti da trattare, i collegi per le truppe dei rispettivi eserciti.
Una volta la Sicilia era il granaio dei voti dei leader, ma oggi con l’astensionismo galoppante non lo è più, e pertanto siamo derubricati a fastidio da procrastinare. Siamo degli acari, più che ascari, che infastidiscono chi comanda. Una volta culla dell’Autonomia, oggi “minchia, che Camurria!”
Così è se vi pare.
Giovanni Pizzo