PALERMO – Le imprese siciliane ricorrono sempre meno ai prestiti bancari per la propria attività. Un segno per nulla positivo rispetto alla salute del sistema economico del territorio, secondo la Cgia, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, che paventa in questo comportamento la possibilità di una sempre maggiore infiltrazione della criminalità nella maglia economica regionale.
Rifacendosi ai dati messi a disposizione dalla Banca d’Italia, gli impieghi vivi delle imprese isolane, in un anno, al mese di aprile 2024, sono stati 17,7 miliardi di euro, contro i 18,3 miliardi registrati 12 mesi prima, nell’aprile 2023. In percentuale, la riduzione è stata del 3%, per un totale di 551 milioni di euro.
La contrazione maggiore riguarda, in termini assoluti, la provincia di Palermo, con i suoi 223 milioni di euro in meno in termini di prestiti rilasciati dalle banche. In termini percentuali, invece, tale primato è assegnato a Siracusa, dove l’importo totale è sceso del 6,8%. Vanno in positivo, invece, le province di Messina, dove i prestiti crescono dell’1,1%, Enna, con +1,4%, e Caltanissetta, addirittura al 12,3% di aumento, che corrisponde a 91 milioni di euro in più. Insieme a Lodi, che arriva al 12,7%, si tratta dell’aumento maggiore registrato in tutta la penisola.
Non è un fenomeno che nasce negli ultimi due anni, ma che continua imperterrito ormai da molto tempo. Dall’inizio della crisi del debito sovrano, a partire quindi dal 2010, si è trattato di un fenomeno in continua crescita, tanto che la riduzione dei prestiti bancari alle aziende livello nazionale ha registrato una caduta del 27%, pari a -247 miliardi di euro di impieghi vivi. Per l’ufficio studi della Cgia questo trend rischia di alimentare, indirettamente, un fenomeno molto preoccupante che, ormai, non riguarda solo le regioni del Sud, ma anche quelle del Nord: la presenza sempre più diffusa nell’economia reale delle organizzazioni criminali.
In questi momenti così particolari, infatti, sono gli unici soggetti che dispongono della liquidità necessaria per “aiutare” chi si trova in difficoltà economico-finanziaria, in particolare nei settori ad alta intensità di contante, come la ristorazione, l’intrattenimento e le sale giochi, in quelli che richiedono il controllo del territorio, come l’edilizia, e nei comparti meno innovativi che non richiedono competenze specialistiche. Insomma, le attività economiche sono le principali “prede” di chi vuole reinvestire i proventi ottenuti illecitamente. Un’ulteriore conferma viene dall’Europol: secondo questa agenzia, l’80% delle organizzazioni criminali attive in Europa utilizza le imprese nelle proprie attività illegali.
Non si può negare, comunque, che il calo delle richieste di prestiti dell’ultimo anno è sicuramente condizionato dall’elevato costo del denaro, con i tassi di interesse schizzati alle stelle, e dalla diminuzione degli investimenti in macchinari, dovuta all’attesa delle agevolazioni previste dalla nuova transizione 5.0, tuttavia i segnali di una presenza stabile e consolidata della criminalità nel mondo delle imprese, anche nel Nord Italia, risalgono ad almeno 25 anni fa.
Come dimostrano alcuni studi realizzati dalla Banca d’Italia nel 2022, relativi a “Il profilo finanziario delle imprese infiltrate dalla criminalità organizzata in Italia”, a livello territoriale la presenza più diffusa delle organizzazioni economiche criminali si registra nel Mezzogiorno, anche se ormai molte evidenze altrettanto inquietanti segnalano la presenza di queste realtà illegali nelle aree economicamente più avanzate del Centro Nord.