PALERMO – È partita proprio nei giorni scorsi la campagna olearia in Sicilia e in particolare nella parte bassa di Pachino, Rosolini e Scicli, quest’anno in anticipo a causa del caldo che da maggio non ha lasciato tregua agli ulivi nell’isola e che entrerà nel vivo a metà ottobre. Una situazione che rispecchia quella nazionale dal punto di vista della produzione con un calo generale di circa il 30% e una produzione a macchia di leopardo: ci si aspettava una buona annata vista la bella fioritura dei mesi scorsi ma il caldo importante che ha caratterizzato la fine di maggio ha colpito la pianta durante la fase dell’allegagione causando la perdita di parte della fioritura.
Un’annata ancora incerta considerando l’aumento dei costi di produzioni e dei fertilizzanti: “Stiamo assistendo ad almeno il 20% di aumento del costo di produzione e, visti gli aumenti di gas ed energia elettrica, si tratta di costi molto contenuti – racconta il presidente dei Frantoiani italiani Elio Menta – va scongiurato un aumento non controllato, se il prezzo diventa alto corriamo il serio rischio dell’abbandono da parte dei produttori. Speriamo che le istituzioni intervengano”. Alle preoccupazioni del rappresentante della Foa, nata per promuovere un nuovo modello di impresa frantoio, che possa coniugare ricerca e innovazione, attenzione alla sostenibilità etica e ambientale, diffusione della cultura e del consumo consapevole di olio Evo italiano di qualità, si aggiungono le preoccupazioni di Giuseppe Borzì, produttore di olio insieme alla famiglia a Nicolosi: “Se non arrivano aiuti rischiamo davvero di non aprire il nostro frantoio dopo oltre quarant’anni. I costi sono quadruplicati e giustamente non possono gravare solo su di noi frantoiani e sui contadini che dopo un anno di lavoro rischiano di non raccogliere le olive”.
Si auspica un intervento da parte delle autorità per lo sviluppo di un piano olivicolo nazionale e, causa anche il cambiamento climatico, andranno pensati nuovi modi per riadattare le piante al caldo considerando che da sempre tanti uliveti non hanno irrigazione. L’ulivo, infatti, fino al passato non ha avuto bisogno di acqua ma oggi invece si e, se le grandi aziende sono riuscite ad organizzarsi, le piccole non sono per nulla attrezzate considerando anche che l’estensione media delle aziende olivicole è inferiore ai 2 ettari quindi per proprio consumo e vendita di prossimità. La Sicilia oggi possiede una superfice coltivata a oliveto di 160 mila ettari su cui sono distribuite più di 20 milioni di piante con oltre 50 cultivar di riferimento: sei le Dop (Monti Iblei, Monte Etna, Valdemone, Val di Mazara, Valle del Belice, Valli trapanesi), una Igp (Sicilia) e un regime biologico sempre più crescente e che oggi si attesta intorno al 20% del totale.