PALERMO – In Sicilia i pensionati superano i lavoratori di circa 303 mila unità. Un segnale chiaro di come l’Isola sia sempre più vecchia e come l’intera regione si sia ormai incamminata in una direzione sempre più precaria dal punto di vista economico, ma non solo, con importanti risvolti sociali.
I dati sono quelli dell’Inps e dell’Istat, elaborati dall’ufficio studi della Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre. Le province che segnano il maggior divario a favore dei pensionati sono quelle di Messina, che conta un saldo in positivo di 87 mila unità (tra numero di pensionati e numero di lavoratori), seguita a Palermo a +74 mila pensionati, e Catania a + 42 mila. Il numero dei pensionati supera quello dei lavoratori anche nel territorio di Agrigento (+34 mila), Trapani (+28 mila), Caltanissetta (+24 mila), Siracusa (+13 mila) ed Enna (+11 mila). Unica provincia in cui i lavoratori sono ancora più dei pensionati è quella di Ragusa, dove si contano 112 mila lavoratori e “soltanto” 103 mila pensionati. In totale, in tutta la Sicilia sono 1,6 milioni i pensionati e 1,3 i lavoratori.
Elemento da non sottovalutare, l’elevato numero di assegni erogati ascrivibile alla notevole diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra, con tutta la sua evidenza, gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media Ue e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare.
La condizione siciliana si accomuna con quello dell’intero Mezzogiorno, ma nel giro di qualche anno tale situazione diventerà la norma nell’intera Penisola. Secondo le previsioni di Unioncamere, nel suo rapporto “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028)”, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centrosettentrionali.
“È evidente – hanno scritto dalla Cgia – vista la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno. Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord, mettendo così a rischio la sostenibilità economica del nostro sistema sanitario e previdenziale”.
Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate, la provincia con i dati peggiori è Lecce: la differenza tra lavoratori e pensionati è pari a -97 mila. Le siciliane si pongono subito nelle prime posizioni: se al secondo posto troviamo Napoli, con -92 mila, Messina guadagna la medaglia di bronzo con -87 mila; quindi, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila. Al momento a tenere botta sono le regioni del Nord che al contrario ancora sono tutte in attivo, nel senso che i lavoratori attivi superano i pensionati. Per l’esattezza ci sono 1,8 milioni di lavoratori in più rispetto a chi è a riposo mettendo assieme le regioni Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Trentino Alto Adige, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta.
“Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati – ha evidenziato il segretario della Cgia, Renato Mason – la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere. Questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici. Per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati, facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere i più bassi d’Europa”.