PALERMO – Almeno un posto di lavoro su 3 in Sicilia rimane scoperto. Una triste realtà, che si accompagna ad una disoccupazione galoppante. La conferma, di mese in mese, viene dai dati forniti dal sistema Excelsior di Unioncamere, che raccoglie le informazioni riguardo all’andamento della domanda e dell’offerta nel mondo del lavoro italiano.
Tali dati sono diventati la base per la rielaborazione dell’Ufficio studio della Cgia: nel 2022, in Sicilia, nel 35,97% gli imprenditori hanno incontrato difficoltà di reperimento dei candidati ideali, sia in termini di mancanza di candidati, sia in termini di impreparazione da parte di coloro che si sono messi a disposizione per coprire i ruoli proposti.
La regione presenta un andamento abbastanza omogeneo, considerato che si tocca il picco massimo a Caltanissetta, dove la difficoltà di reperimento tocca il 40,50%, e il picco minimo a Trapani, che si ferma al 31,80%. Una forchetta piuttosto ristretta, che mostra una condizione lavorativa di grande difficoltà in tutta la regione, a prescindere dal territorio, che sia interno o costiero, o più o meno industrializzato. In termini assoluti, le possibilità di assunzioni previste nel 2022 sono state poco più di 288 mila, e di queste 100 mila sono andate perse.
Le province che la fanno da padrone sono Palermo, con quasi 76 mila assunzioni, e una difficoltà di reperimento del 35,10%, e Catania, a poco meno di 65 mila posti di lavoro, andati vacanti nel 34,60% dei casi. Caltanissetta si trova, a livello nazionale, tra le province “peggiori”, ma anche Siracusa non scherza: le punte più elevate, a Chieti e L’Aquila con il 43,6%, a Caltanissetta con il 40,5%, Cagliari con il 39,2%, Brindisi e Sassari con il 39%, Siracusa con il 38,8%, Isernia, Matera e Pescara con il 38,5,% Benevento con il 38,1%. E la tendenza è al rialzo.
Se la media nazionale nel 2017 si fermava al 21,5%, in pochi anni la difficoltà di reperimento è quasi raddoppiata, e le previsioni per il futuro non lasciano ben sperare. Molte professioni superano di gran lunga il valore medio, nell’Isola così come nel resto della penisola: gli specialisti di saldatura elettrica arrivano all’81,3%, insieme ai medici di medicina generale; gli ingegneri elettronici e in telecomunicazione arrivano all’80,5%, così come gli intonacatori si fermano all’80%.
In Sicilia, i valori cambiano se si guarda alle professioni più ricercate: i commessi delle vendite al minuto sono difficilmente reperibili nel 26% dei casi, e sulla stessa falsariga si muove il personale non qualificato che si occupa di servizi di pulizia. Si sale nel caso dei muratori, che non si trovano nel 38,6% dei casi, dei camerieri, al 42,9%, e dei conduttori di mezzi pesanti e camion (44,2%).
Dati preoccupanti ma che non sorprendono: “Sia chiaro, non è una novità – scrivono dalla Cgia – nel nostro Paese da sempre la domanda e l’offerta faticano a incrociarsi. Chi è alla ricerca di un’occupazione spesso presenta un deficit educativo ed esperienziale notevole rispetto alle abilità professionali richieste dalle attività economiche”.
Una falla che può essere risolta soltanto puntando alla formazione e alla scuola. “Per contrastare il disallineamento tra scuola e lavoro – commenta il segretario della Cgia Renato Mason – dobbiamo investire sull’orientamento, spiegando agli insegnanti, alle famiglie e ai ragazzi che nella vita professionale ci si può affermare anche come lavoratori autonomi. Bisogna ridare dignità al lavoro manuale, pagarlo di più e ricordare a tutti che gli istituti professionali e quelli tecnici non sono scuole di serie B, che sono in grado di formare gli operai e i tecnici del futuro, molti dei quali lavoreranno in camice bianco e in dotazione avranno strumentazioni tecnologiche dal valore economico di migliaia e migliaia di euro”.