Strade deserte, case vuote e abbandonate, città fantasma. Un territorio deserto e desertificato. È questa la distopica realtà di tante aree interne della Sicilia. È questa la distopica direzione verso cui tende tutta la Sicilia. I dati Istat parlano chiaro: in soli dieci anni l’Isola ha visto diminuire la propria popolazione di ben 310.219 residenti. Oltre 31 mila siciliani ogni anno. Come se fosse stata abbandonata l’intera provincia di Ragusa (che al primo gennaio 2021 conta 314.950 cittadini). A destare maggiore preoccupazione è il fatto che lo spopolamento non riguarda più solamente le aree interne, ma anche le città metropolitane.
Negli ultimi dieci anni i Comuni più colpiti dalla perdita di popolazione sono, in valore assoluto, Palermo (91.237 residenti in meno), Catania (24.370 in meno) e Messina (16.050 in meno). Un fenomeno ancora più allarmante se guardato da un punto di vista europeo. Secondo i dati Eurostat, la città con il più alto decremento della popolazione è proprio Messina, che dal 2015 al 2020 ha dovuto fare i conti con un calo del 4,8% dei suoi residenti. La quinta è Palermo, dove in soli cinque anni la popolazione è diminuita del 4,2%. Si tratta di un decennale decremento demografico dovuto a diversi fattori. Primo fra tutti la differenza tra le nascite e le morti: il cosiddetto saldo naturale. Questo valore, in Sicilia, dal 2011 in poi è sempre più negativo: dieci anni fa era pari a -2.879, a luglio 2021 (ultimo dato disponibile) è -14.244. Insomma, nell’Isola ogni anno ci sono sempre più morti e sempre meno nascite. A questo fattore, si aggiungono le annose difficoltà con cui i siciliani devono fare ogni giorno i conti e che “costringono” molti a emigrare: sfruttamento lavorativo, scarsa offerta formativa, infrastrutture e collegamenti non adeguati, mancanza di servizi essenziali. Paradosso nel paradosso, più la regione si spopolerà, più la qualità della vita si abbasserà e maggiori saranno i cittadini che decideranno di emigrare. Una previsione confermata dalle stime dell’Istat, secondo cui nel 2066 in Sicilia ci saranno solo 3.408.228 residenti: in 45 anni l’Isola perderà quasi un milione e mezzo di abitanti.
Lo spopolamento è strettamente legato alla diffusa povertà di molti siciliani e al conseguente impoverimento strutturale di altrettante realtà. “Oltre allo spopolamento – spiega il segretario generale di Anci Sicilia, Mario Alvano – in Sicilia si sta verificando anche un progressivo crollo del mercato immobiliare, soprattutto nelle aree interne, che dura ormai da dieci anni. Il patrimonio immobiliare dei comuni, inoltre, è diventato sproporzionato rispetto alla popolazione: nel momento in cui una piccola realtà ha una disponibilità di immobili superiore al suo fabbisogno, si determina una svalutazione dei prezzi e la tendenza del privato a non curare l’immobile”. La conseguenza diretta è che in molti comuni vi è un patrimonio decadente o addirittura inagibile. “Ho il dubbio – continua Alvano – che le misure di incentivo alle ristrutturazioni non possano fare la differenza: in alcune aree gli immobili sono cinque volte la popolazione residente”. Questa condizione incide ulteriormente sulla qualità dell’abitare, così i giovani emigrano e i nuovi residenti non arrivano. Come un cane che si morde la coda. E allora come invertire la rotta? “La differenza – sostiene il segretario regionale Anci – la fa la capacità di un territorio di offrire servizi: viabilità, sistemi di trasporti dignitosi che garantiscano il collegamento con i centri più grandi. Si deve puntare a offrire servizi in modo più efficiente e ragionato, su base settoriale”.
Un altro fattore determinante nello spopolamento della Sicilia è la poca salubrità del mercato del lavoro: precariato, sfruttamento, poca offerta formativa. “Lo sfruttamento e il lavoro nero sono aspetti centrali per quanto riguarda lo spopolamento – spiega al QdS il segretario regionale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino -. In agricoltura, come in edilizia, secondo i dati dell’Istat, un rapporto di lavoro su tre in Sicilia è irregolare o in nero. Questo ovviamente determina un calo di diritti ma anche di reddito. Cosa che determina anche una concorrenza sleale tra le aziende”. Allo sfruttamento dei lavoratori, secondo il segretario regionale della Cgil, si aggiunge anche l’assenza di una classe politica e amministrativa in grado di fornire alla Sicilia una visione di sviluppo adeguata alle sue potenzialità. “La mancanza di popolazione – continua Mannino – è dovuta proprio alla mancanza di un progetto di sviluppo affiancato a politiche di rafforzamento dei diritti di cittadinanza fondamentali delle aree interne”. Eppure, in questi anni, sono in molti ad aver portato istanze simili alla Regione: dai corpi sociali a quelli datoriali, dall’associazione dei sindaci siciliani al comitato per l’istituzione delle Zone franche montane. “Spesso – dichiara Mario Alvano – Anci osserva una certa indifferenza verso le istanze del territorio. Ben vengano, in ogni caso, iniziative come quelle delle Zone franche montane, che sono le uniche che possono invertire la tendenza. Probabilmente questa da sola non basterà ma ha il grande valore di guardare in prospettiva. A livello regionale si deve fare ovviamente molto di più”.
Sullo spopolamento della Regione, la Giunta Musumeci e la sua maggioranza sembrano aver dimenticato gli impegni presi qualche anno fa con il movimento Valigie di cartone. “Tempo fa – dichiara il capo gruppo del Movimento cinque stelle all’Ars, Giovanni di Caro – si firmò un documento, chiamato pentacolo e proposto da padre Garau (fondatore del movimento valigie di cartone, nda), con cui i deputati si impegnavano a trovare norme per il contrasto allo spopolamento. È paradossale che ormai quasi nessuno se ne preoccupi. Dalla maggioranza verso questo argomento c’è un’apatia e un lassismo totali”. In effetti, sepolto nei cassetti dell’Ars c’è proprio un Ddl (a firma di Di Caro) contro lo spopolamento della Sicilia. “Oltre un anno fa lo abbiamo incardinato in quinta commissione da dove è uscito emendato da tutte le forze politiche. Come sempre accade, i Ddl dell’opposizione appena approdano in commissione Bilancio si fermano. Anche questo si è arenato nonostante abbiamo trovato anche il capitolo di spesa da cui attingere per le risorse finanziarie. Non si capisce perché non viene esaminato e portato in Aula”.
In attesa che si sblocchi l’iter per l’approvazione di un Ddl necessario, i sindaci dei comuni più colpiti dallo spopolamento hanno individuato una misura che, anche se non risolutiva, quantomeno riconosce e affronta il problema. Si tratta dell’iniziativa “Case a un euro”, che ha un duplice obiettivo: attrarre nuovi residenti e riqualificare il patrimonio immobiliare dei piccoli comuni. In pratica, gli Enti locali concedono al simbolico prezzo di un euro le case abbandonate e decadenti a patto che chi le acquisisca si impegni a ristrutturarle. “È una misura sicuramente positiva – dichiara Alvano – che va valorizzata, incentivata, ulteriormente promossa e migliorata. Però, dobbiamo prenderne atto, nonostante sia un’iniziativa positiva, ha anche un impatto molto limitato rispetto allo spopolamento. Non fa ancora la differenza”.
“Abbandonano la regione i più giovani e qualificati”
CATANIA – Per comprendere meglio i fattori che stanno determinando un processo di spopolamento della Sicilia e le misure volte a favorire un’inversione di tendenza, abbiamo intervistato Angelo Mazza, professore associato di demografia al dipartimento di Economia e impresa dell’Università di Catania.
Secondo le previsioni dell’Istat, nel 2068 la Sicilia perderà quasi un milione e mezzo di abitanti. Dal 2011 ad oggi la popolazione residente è diminuita di oltre 310mila unità. Questi dati sono preoccupanti o si inseriscono in quadro ordinario?
“Le tendenze della popolazione, sia italiana che siciliana, nel corso degli ultimi vent’anni presentano delle caratteristiche tutt’altro che ordinarie, addirittura estreme se paragonate a quelle degli altri Paesi, in particolare all’interno dell’Ue. È fondamentale riconoscere quello che i demografi italiani hanno definito eccezionalismo demografico. Siamo tra i primi per l’invecchiamento della popolazione, siamo tra gli ultimi in termini di bassa fecondità. Tra i paesi occidentali, siamo tra i primi per la lunga transizione dei giovani verso lo stato adulto. Siamo anche tra i primi per la lunga durata della vita e siamo tra i primi in termini di velocità di crescita della popolazione straniera. Il veloce e persistente declino demografico in alcune aree del paese è un elemento importante che è connesso a tutti gli aspetti dell’eccezionalismo demografico dell’Italia”.
A cosa è dovuto questo fenomeno?
“Le variazioni della popolazione sono determinate dal saldo naturale, cioè i decessi meno le nascite, e da quello migratorio. Tradizionalmente, in Italia si facevano più figli al Sud e nelle Isole. E questo succede ancora fino alla fine del millennio scorso. Ma, dalla metà degli anni 2000, c’è il sorpasso. In generale, si fanno più figli nelle regioni dove la situazione economica è migliore, e questa è una novità nella geografia della demografia italiana. Ma è coerente con alcuni dati che mostrano che anche a livello europeo si fanno più figli dove l’economia è migliore, dove le donne sono più incluse nel mercato del lavoro e dove si mettono in atto politiche pronataliste più decise. Se osserviamo l’andamento del tasso di crescita naturale in Sicilia, vediamo che questo non si discosta a partire dal 2010 troppo da quello Italiano. Ma, allora perché il tasso di incremento della popolazione siciliana è negativo? Ciò è dovuto al saldo migratorio negativo. Le migrazioni sono un po’ come le nascite, vanno dove le cose vanno meglio. Per gli immigrati stranieri, la Sicilia è una regione di passaggio, per andare in zone, anche dell’Unione europea, di maggiore benessere economico. Il saldo migratorio negativo determina la scomparsa di molti centri siti nelle aree interne; i dati mostrano che ad andar via è la fascia più giovane e qualificata della popolazione, quella che ha maggiore probabilità di trovare migliori opportunità lavorative lontano da casa”.
Quali iniziative dovrebbero essere intraprese dai Governi regionale e nazionale?
“Il continuo invecchiamento della popolazione, i bassi livelli di fecondità, l’allungamento dell’aspettativa di vita, il rapido incremento della popolazione immigrata, lo spopolamento delle aree interne. Si tratta di dinamiche che innescano sfide difficili per i governi, specialmente se non operano velocemente e con la consapevolezza delle conseguenze di breve e lungo periodo delle loro azioni. Purtroppo, le tematiche demografiche vengono spesso trascurate. È anzitutto fondamentale acquisire piena consapevolezza dell’eccezionalismo demografico italiano. I demografi italiani si sono meravigliati per il fatto che è stata l’Unione europea, con la commissione presieduta da Ursula von der Leyen, a creare il primo portafoglio in cui compare la parola demografia, mi riferisco al portafoglio democrazia e demografia di Dubravka Šuica. I governi devono pensare anche alle esigenze delle generazioni future, e non solo al presente; non si può dire che questo, nel passato, sia stato fatto. L’Europa, ci offre un’opportunità, forse l’ultima, con il Recovery plan, che non a caso si chiama Next generation Eu”.