AUGUSTA – Rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera immagazzinandola in acqua di mare, contrastando il cambiamento climatico e contribuendo alla decarbonizzazione. Stefano Cappello, lecchese 29enne con una laurea magistrale in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano, è Ceo e fondatore di Limenet, start up che ha deciso di realizzare proprio nella località megarese il suo primo impianto. Il QdS lo ha intervistato per comprendere meglio l’utilità e le particolarità di questa tecnologia.
Come nasce il progetto innovativo di Limenet?
“L’idea nasce da un’intuizione di mio zio, Giovanni Cappello, su come rimuovere la CO2 su livello industriale utilizzando un processo naturale chimico chiamato ‘ciclo geologico del carbonio’. La CO2 naturalmente si lega a una roccia, chiamata carbonato di calcio e si trasforma in bicarbonato di calcio in acqua di mare. La sua idea è stata quella di provare a vedere se fosse possibile riuscire a velocizzare questo processo naturale. Sulla carta tutto ciò sembrava funzionare e, tra il 2020 e il 2021, ho iniziato a studiare nel dettaglio questo metodo, avendo anche la possibilità di poterne discutere quotidianamente con mio zio. Quindi, ho deciso di costruire il primo prototipo e vedere se potesse funzionare anche nella realtà. Ho rivisitato i primi prototipi e, insieme a Giovanni e altre persone, abbiamo realizzato un secondo prototipo e poi un terzo. Adesso abbiamo costruito il primo impianto ad Augusta in Sicilia. Si tratta del quarto prototipo che abbiamo realizzato. L’idea di costruire una società e di comporre un team è venuta dalla voglia di mettermi in gioco come imprenditore, anche perché abbiamo davvero bisogno di metodi che possano rimuovere la CO2. Penso che sia davvero importante portare sul mercato questa tecnologica e far sì che l’Italia possa essere uno dei primi Paesi al mondo per studiare e realizzare la rimozione della CO2 in forma naturale. Questa è un po’ la mia missione che sto cercando di realizzare”.
Perché avete scelto proprio Augusta per porre le basi di questo progetto?
“Abbiamo avuto un investitore di Melilli, quindi vicino ad Augusta, che ci ha consigliato di parlare del progetto con l’Autorità portuale e con il Comune. Entrambi gli Enti si sono subito interessati a questa iniziativa, abbiamo quindi deciso di stipulare un accordo tra le tre parti per realizzare questo primo progetto in Italia. Siamo arrivati ad Augusta per una casualità di eventi e siamo estremamente contenti”.
Se vogliamo guardare più ad ampio raggio, come sono attrezzati l’Italia e gli altri Paesi per affrontare la rimozione della CO2?
“L’Islanda è il Paese che possiamo considerare pioniere, con il primo impianto pilota che è stato realizzato nel 2021. Adesso stanno nascendo diverse iniziative negli Stati Uniti. Se dovessi indicare dei Paesi pionieri nella rimozione della CO2 dall’atmosfera direi certamente l’Islanda e gli Usa. Dal punto di vista di cattura e stoccaggio di CO2 in forma geologica ci sono molti più Paesi che stanno facendo questa attività. C’è la Norvegia che è molto forte, ci sono sempre gli Usa e l’Italia che, qualche settimana fa, ha annunciato l’apertura dell’impianto di Ravenna. Pertanto, anche noi facciamo parte di questo giro”.
Non è causale che Paesi del Nord Europa come l’Islanda siano tra i primi a portare avanti questo processo?
“Il motivo principale, secondo me, è che si tratta di Paesi con la maggiore quantità di estrazione di petrolio, per cui hanno già le infrastrutture per rimettere sotto la CO2. Si può dire che sono anche Paesi a vocazione green? Sì, ma l’affermazione può lasciare il tempo che trova. Anche gli Stati Uniti sono molto forti perché hanno tanti giacimenti e, quindi, hanno utilizzato la ‘carbon capture and storage’ per fare ‘enhanced oil recovery’ e, pertanto, la rimozione di CO2 sottoterra che, in realtà, era finalizzata a estrarre più greggio. Infatti ci sono davvero pochi progetti adesso nel mondo che rimuovono la CO2 sottoterra che fanno carbon capture and storage”.
C’è sempre un obiettivo da raggiungere, ossia quello di riuscire a stoccare 10 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050 così come richiesto dagli Accordi di Parigi. Possiamo raggiungere questo termine?
“Siamo messi un po’ male, dispiace dirlo. Purtroppo gli ultimi scenari sono molto chiari: se vogliamo arrivare alla neutralità climatica dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 da 40 a circa 10 miliardi di tonnellate entro il 2050. A oggi, di queste dieci ne stiamo rimuovendo poche decine di migliaia all’anno e quindi non basta andare a fare afforestazione, ma bisogna anche rimuovere la CO2 con tecnologie come Limenet e siamo molto indietro. Poi da qui al 2050 può succedere di tutto, però è una sfida con un cronometro molto stringente. Probabilmente non arriveremo al 2050, magari ci riusciremo nel 2070. Basti pensare che in Italia emettiamo circa 350 milioni di tonnellate di CO2 all’anno e dovremmo arrivare a zero nel 2050. Limenet a oggi è il primo progetto in Italia che fa questo ma c’è molto da fare”.
Ci sono altri progetti simili di Limenet in Italia e all’estero in rampa di lancio o per il momento rimane una realtà localizzata solo nella nostra area?
“Adesso è localizzata perché Limenet è una start up. Oggi ha presentato una tecnologia sul mercato dal punto di vista industriale e bisogna fare uno skill-up. Non è una cosa che si fa dall’oggi al domani, ma con il tempo. La tecnologia deve essere anche finanziata e autorizzata dalle autorità competenti ed è irragionevole pensare di fare degli impianti in Norvegia. Impiegheremo qualche anno per ‘aggredire’ altri Paesi, ma lo faremo”.
L’importante è poter portare avanti questa politica di rinnovamento. I numeri sono abbastanza impattanti e bisogna farsi trovare pronti…
“Lo vediamo tutti gli anni, un esempio è il disastro dell’Emilia-Romagna di quest’anno. Si tratta di campanelli d’allarme, poi qualcuno può anche negare l’evidenza e i dati scientifici. Vedo molto la differenza tra chi ha un’opinione basata su idee – e non su fatti – e chi, invece, si basa su dati scientifici. La scienza, purtroppo, non è un’opinione”.
La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto livelli mai registrati prima. Secondo il report “Global Carbon Budget 2023”, durante lo scorso anno le emissioni globali di CO2 hanno segnato il record di 37,55 miliardi di tonnellate, con un incremento di 410 milioni di tonnellate.
Numeri che preoccupano certamente, ma che possono essere letti con un cauto ottimismo se si considera il rallentamento registrato nel 2022, quando la crescita era stata di 410 milioni di tonnellate. A determinare il recente freno alle emissioni di CO2 nell’aria è stato il contributo delle economie avanzate che, negli ultimi anni, hanno accelerato il ricorso alle energie rinnovabili.
Nel nostro Paese, così come sottolineato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), lo “scenario energetico nazionale” è stato caratterizzato da un evidente calo delle emissioni di anidride carbonica (-8%) e da una nuova riduzione dei consumi dell’energia primaria (-2,5%).
Un dato, quest’ultimo, che si avvicina a quello dell’Eurozona (-3%). Tra le fonti fossili è stato registrato anche un decremento del consumo di gas (-10%) e del carbone (-30%). Un trend che fa ben sperare per lo scenario di transizione del sistema energetico, ma che resta ancora debole per riuscire a raggiungere il target delle emissioni zero.
Attualmente, i Paesi Ue sono impegnati nella riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, così come previsto dagli Accordi di Parigi del 2015.
A oggi, la CO2 è il principale dei gas a effetto serra, poiché rappresenta la fetta più grande delle emissioni presenti nell’atmosfera. In una situazione normale, l’anidride carbonica non rappresenta un pericolo per l’ambiente e la vita umana, ma un incremento smodato di concentrazione di CO2 può determinare una crescita della temperatura media, contribuendo così all’innalzamento del riscaldamento globale.
Tuttavia, da potenziale “nemico”, la CO2 può rappresentare un’opportunità attraverso il riutilizzo della stessa in altri cicli produttivi o lo stoccaggio in profondità. Un processo che prende il nome di “Carbon capture, utilization & storage – Ccus” nei processi industriali e che può essere attuato attraverso l’impiego di nuove tecnologie.
In Italia l’attività di stoccaggio di gas naturale è iniziata nel 1964 a Cortemaggiore, in Emilia-Romagna, e continua a essere in servizio. Ma non si tratta dell’unico processo attualmente in attivo nel nostro Paese. Un esempio è rappresentato dal progetto di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride carbonica messo in piedi da Eni e Snam a Ravenna.
Nel dettaglio, l’impianto “Ravenna Ccs” si occupa della cattura del 90% della CO2 che viene emessa dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti, stimata in circa 25 mila tonnellate l’anno. Dopo essere stata catturata, l’anidride carbonica viene trasportata alla piattaforma offshore di Porto Corsini Mare Est sfruttando le condotte Snam un tempo utilizzate per il metano. Il passo successivo è lo stoccaggio in un giacimento esaurito di metano a 3 mila metri di profondità. “L’avvio delle attività di iniezione della CO2 a Ravenna è un passo importante per l’affermazione di una nuova tecnologia, la ‘Carbon Capture and Storage’, verso cui il governo guarda con grande interesse per raggiungere gli obiettivi climatici”, ha affermato lo scorso 3 settembre il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza, Gilberto Pichetto, commentando l’annuncio congiunto di Eni e Snam relativo alla Fase 1 del progetto Ravenna CCS.
Per spingere questo “segmento” della transizione energetica, al Mase – ha ricordato Pichetto – è stata prevista, attraverso il recente decreto infrastrutture, l’istituzione del Comitato CCS proprio per fare fronte alla grande attenzione riscontrata sul tema, fornendo tutte le migliori garanzie tecnico-scientifiche”.
Un altro paradigma virtuoso – e decisamente rivoluzionario – è quello che è stato messo in atto nel corso di questi mesi nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa, dove è stato realizzato il più grande impianto industriale al mondo in grado di rimuovere dall’aria 800 tonnellate di anidride carbonica ogni anno e stoccarle in mare attraverso un processo chimico, sotto forma di bicarbonati di calcio. Una tecnologia innovativa messa a punto da Limenet, start up italiana di Lecco, che intende velocizzare un processo già esistente in natura ma che richiede dei tempi estremamente lunghi.