O cambiano le regole o la Sicilia, con ogni probabilità, sarà zona gialla già dal 26 luglio. Lo spettro dei 50 casi ogni 100.000 abitanti (che sancisce più restrizioni), è dietro l’angolo: l’Isola secondo l’ultimo rilevamento è a 32, ma con la crescita attuale ci metterebbe poco ad arrivarci, e da più parti e da più rilevazioni.
Sarebbe un duro colpo per l’economia, per il turismo, per la Sicilia in generale, ed è per questo che i vertici della Regione chiedono che si cambino le regole. Da subito. E siccome sono in ottima compagnia, dato che nessuno in giro per l’Italia vuole correre questo rischio, lo stesso ministro Speranza ha lanciato un salvagente a tutti: cambiare le regole si può.
“Bisogna cambiare i criteri, bisogna tenere conto di chi sarà costretto ad andare in ospedale e non chi risulta positivo e sta a casa e non ha alcuna manifestazione particolare”, ha detto ieri il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci.
E anche l’assessore alla Sanità Ruggero Razza ha sottolineato come l’ospedalizzazione debba contare più dei contagi. Sotto questo punto di vista la Sicilia sarebbe certamente favorita, visto che ci sono molti casi (386 ieri) mentre i ricoverati, seppure tanti rispetto ad un anno fa (177 contro 6), sono comunque gestibili e molto sotto la soglia del rischio.
Secondo diversi componenti del Comitato Tecnico Scientifico – che sarà riunito sul tema tra lunedì e martedì – bisogna “dare maggiore significatività al green pass”. Sul fronte politico, per superare le divisioni, una mediazione potrebbe essere quella di inserire la misura ‘estensiva’ soltanto nelle regioni fuori dalla zona bianca (non è ancora chiaro se già a partire dalla zona gialla): una modalità che eviterebbe il ritorno a chiusure pesanti in piena estate.
Ma anche se alcune regioni si avvicinano al giallo nelle prossime settimane, visto il trend di aumento dell’incidenza dei contagi (in cima Sardegna, Sicilia, Veneto, Lazio e Campania), a scongiurarne il rischio sarà un nuovo cambio di rotta sulla valutazione dei parametri.
Il ministro della Salute, Roberto Speranza, annuncia che nei cambi di colore e nelle conseguenti misure di contenimento peserà di più “il tasso di ospedalizzazione rispetto agli altri indicatori”. Una soluzione che mette d’accordo anche i territori, pronti a mettersi al riparo da misure più stringenti.
“Chiederemo al Governo di togliere l’incidenza dei positivi dai parametri che muovono zone e colorazioni perché il rischio è di decidere delle chiusure per gente positiva a casa, quando il sistema sanitario è pienamente efficiente”, sottolineano le Regioni. Ma il calcolo dell’incidenza dei positivi ogni centomila abitanti, il cosiddetto Rt sintomi, probabilmente resterà tra i parametri, pur perdendo la sua discrezionalità nel caso in cui l’occupazione di posti letto in terapia intensiva e nei reparti ordinari non superi le percentuali di rischio del 30 e 40%.
Anche su quest’ultimo dato, non si esclude una discussione sulla revisione di queste percentuali, così come diventerà sempre più tassativa la necessità di eseguire un numero minimo di tamponi (in zona bianca 150 test ogni 100mila abitanti).
Nel prossimo decreto sarà anche prevista la proroga dello stato di emergenza, che al momento termina il 31 luglio. Due sono le ipotesi sulla sua prossima scadenza: fine ottobre oppure fine dicembre. I nuovi provvedimenti aspettano di essere supportati dal progressivo incremento delle vaccinazioni, che hanno raggiunto in queste ore quota 60 milioni e sono quasi 26 milioni gli italiani che hanno completato il ciclo, pari al 48,12% della popolazione over 12.
“Oggi in Italia sono 2,5 milioni le persone over 60 che non hanno iniziato la vaccinazione e questo è un bacino di utenza particolarmente critico – spiega il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro – . E’ estremamente importante che queste persone si proteggano per evitare effetti più critici dell’infezione”. Ed è chiaro – ribadisce – che bisogna immunizzare “col ciclo completo la popolazione e vaccinare anche la fascia dei più giovani”.