Siculiana è un ridente paese di collina a 20 chilometri da Agrigento, già borgo medievale dal XIV secolo, che ha stabilizzato il suo centro abitato nell’alto piano, allontanandosi dalla costa, giacché l’agevole approdo la esponeva alle scorrerie dei pirati mareschi. Lo scalo, detto “porto del Caricatore”, in epoca di dominazione spagnola, fu luogo ricco di commerci ed intensi traffici commerciali marittimi. La cittadina custodisce, ancor oggi, un reperto ebraico particolarmente ricco di significato. Nel santuario del S.S. Crocifisso di Siculiana, ed esattamente nella cappella del battistero è allocata una fonte battesimale, a base rotonda, la cui vasca risalente al XV secolo, è costituito da un Kior, vasca destinata alle abluzioni rituali, usata dagli ebrei che vivevano nella locale giudecca, che in epoca medievale si ritiene sorgesse dove oggi è ubicato il quartiere di Sant’ Antonio.
La fonte solo da pochi decenni è stata liberata da bassorilievi rappresentanti scene di episodi biblici che la ricoprivano. Queste lastre marmoree che sono anch’esse ancor più preziose per essere, tra le poche che si conservano dell’arte ebraica medievale siciliana, raffiguranti personaggi molto noti come Giacobbe, Isacco o Giuseppe alla corte del faraone d’Egitto. La vasca per tanti anni è stata ritenuta erroneamente un sarcofago, ed ora, liberta dal posticcio rivestimento, pone in luce tre elementi che costituiscono un chiaro messaggio per i posteri, costituito dalla iscrizione in ebraico che recita: “Nell’anno 1475: Samuele, figlio di Rabbì Yona Sib-On. Riposi in paradiso” e scudi con gli stemmi reali spagnoli dei casati di Aragona e di Castiglia, alle opposte estremità. Tutto ciò indica l’essenza delle cause del dramma del criptoebraismo o marranesimo, cioè dell’ebraismo vissuto in clandestinità e pertanto rende di particolare importanza questo reperto.
Nel 1475 il donante Samuele, dedicando alla memoria di suo padre una vasca per le abluzioni rituali, da porre in sinagoga, si era curato di adornarla con gli stemmi regali degli Aragona e dei Castiglia, certamente mosso dal desiderio di conquistarsi la benevolenza dei sovrani spagnoli, che in quei secoli erano sovrani e dominatori della Sicilia. Viene così manifestata dal donatore la propensione della popolazione ebraica alla integrazione nella società civile, governata dai re spagnoli, che è cosa diversa dall’assimilazione sociale. Ma proprio dall’unione di questi due casati di Spagna ebbe origine il dramma della Sicilia ebraica.
Infatti, con il matrimonio celebrato il 30 novembre 1469 tra Ferdinando di Castiglia e Isabella di Aragona, si ponevano le basi di quello Stato che ben presto avrebbe dominato in Europa. Era noto ai sovrani che il potere politico sarebbe stato tanto più saldo se cementato dalla religione, per cui, con l’editto di Granada del 31 marzo 1492, cacciarono dai loro possedimenti tutti gli ebrei e i musulmani che non si fossero immediatamente convertiti al cristianesimo, abiurando la loro fede. Non tutti coloro che aderirono alla conversione forzata per evitare l’espatrio e la perdita di ogni bene furono sinceri cristiani. La condizione di clandestinità non consente una stima precisa di quanti fossero gli ebrei rimasti e per quanto tempo, ma è cero che, almeno una parte di essi, restò fedele alla religione delle loro origini.
Gli atti dai quali si può trarre qualche elemento di stima, spesso sono quelli dell’Inquisizione. Della famiglia del rabbino Sib-On, che dal propio dono è agevole desumere che fosse di condizione agiata, non si conosce la sorte, in quanto non si è riscontrata alcuna traccia nei documenti dell’epoca che sono giunti sino a noi. É noto però che alcune famiglie che costituivano la comunità locale godevano della protezione di nobili della zona, di cui avevano conquistato la benevolenza con i continui donativi che aggiungevano ai non pochi tributi, tasse e balzelli che erano tenuti a corrispondere.
Un documento del 1434, rinvenuto presso l’Archivio di Stato della vicina cittadina di Sciacca, attesta che, per diritto acquisito, speciali privilegi spettavano agli ebrei nel fortilizio di Siculiana. Non può essere escluso che questa famiglia abbia preso la via dell’esilio, oppure sia stata costretta alla conversione forzata al cristianesimo, ed, ancora, è possibile una ulteriore ipotesi che, percepita la minaccia che su di loro incombeva, abbia intrapreso un silenzioso trasferimento in altro centro urbano dell’isola.
Sono note le storie di alcune famiglie che si sono trasferite in altre città, magari acquistando la casa di altri ebrei di loro conoscenza, e giunti nella nuova sede si presentavano come cristiani, dopo aver mutato il loro nome. Costoro spesso giustificavano la loro sospetta immigrazione dichiarando di aver fatto un ottimo affare comprando quelle proprietà a poco prezzo, da chi era stato costretto repentinamente all’esilio. Ma il loro ebraismo vissuto in modo nascosto, si rivelò carico di pericoli, a causa di delatori che non si facevano scrupolo di spiarli lungamente per poi denunciarli alla Santa Inquisizione.
Uno dei mezzi per individuare la presenza di una famiglia di ebrei era quello di scrutare il comignolo della casa dei sospettati, il giorno di sabato, nei mesi gelidi d’inverno, giacché gli ebrei in questo giorno sospendono ogni attività lavorativa o che comunque modifichi quanto già esiste, in osservanza del precetto biblico del riposo del settimo giorno e quindi non accendevano i fuochi del caminetto e della cucina. La mancanza di un fil di fumo che si levasse dalla casa era un segno di facile individuazione per i malcapitati, che dopo la denuncia ed il processo spesso finivano al rogo.