PALERMO – “Violento, esteso e costante”. È così che Claudio Forleo, curatore del rapporto “Amministratori sotto tiro” di Avviso pubblico, ha definito il fenomeno delle intimidazioni agli amministratori locali e ai dipendenti della Pubblica amministrazione.
Secondo il report relativo al 2019, sono stati infatti 559 i casi di intimidazione, minacce e violenze registrati sull’intero territorio nazionale, il 2,5% in meno rispetto al 2018, anche se si tratta del secondo anno, dopo il 2017, in cui gli episodi hanno riguardato tutte le regioni italiane.
I NUMERI
In generale, sono state 83 le province coinvolte, oltre il 75% del territorio nazionale, e 336 i Comuni colpiti, il dato più alto mai registrato negli ultimi nove anni, a cui si aggiunge un incremento non indifferente delle presenza di casi registrati nelle regioni settentrionali (+40% rispetto al 2018), a fronte di un calo di episodi nel Sud e nelle Isole (-10%), storicamente l’area più colpita dal fenomeno. Non a caso, le prime tre regioni d’Italia per numero di casi censiti sono la Campania (92), la Puglia (71) e la Sicilia (66), in controtendenza rispetto all’anno precedente, a cui seguono, dopo la Calabria ferma al quarto posto, la Lombardia, la Sardegna, il Lazio, l’Emilia-Romagna e il Veneto.
LE DIFFERENZE ALL’INTERNO DEL PAESE
Se è vero che l’abitudine di minacciare e intimidire gli amministratori locali sembra ormai essere un problema nazionale e non più geograficamente circoscritto, è altrettanto vero che continuano a esserci delle differenze nelle modalità di azione tra le regioni del Centro-Nord e le regioni del Sud. Nel Meridione, infatti, si tende a intimidire in maniera più evidente “senza preoccupazione di destare allarme sociale né di subire sanzioni”, prediligendo gli incendi, la prima tipologia di intimidazione del Sud Italia, e la violenza fisica, mentre al Centro-Nord questo tipo di operato cede il passo a minacce verbali o scritte a mezzo social, attraverso lettere minatorie e altri canali, anche se le aggressioni si collocano al secondo posto. Analogamente, nel Meridione l’uso dei social network è utilizzato solo da un 10%.
LA QUESTIONE MERIDIONALE
Altra tendenza tutta meridionale è quella che riguarda i Comuni sciolti per mafia. Il 13% delle intimidazioni riguarda infatti amministrazioni commissariate per infiltrazioni di natura mafiosa, amministrazioni che sono collocate tutte nel Sud e nelle isole, con la Campania ancora una volta in cima alla classifica, seguita dalla Calabria, dalla Sicilia e la Puglia. In generale, in terzo degli episodi (33,6%) è condizionato da una scelta amministrativa non gradita, mentre il 18% è riferibile a un disagio sociale, a cui segue un 17% legato a casi di violenza politica e un 13% strettamente connesso a casi di intolleranza che hanno a che fare con il tema dell’immigrazione.
ELEZIONI “SOTTO TIRO”
Infine il rapporto di Avviso pubblico evidenzia un sostanziale incremento dei casi registrati nel periodo della campagna elettorale per le elezioni amministrative. Tra marzo e maggio 2019, infatti, la media delle intimidazioni settimanali ha raggiunto quota 12, a fronte di una media annuale di 10,7, e si è assistito a un raddoppio della percentuale di minacce rivolte ai candidati alle elezioni. Episodi che in più di un’occasione hanno indotto i diretti interessati a rinunciare alla candidatura.
Il segretario generale di Anci Sicilia: “Anomalia pericolosa che si sta consolidando”
PALERMO – Sono anni che le Amministrazioni locali siciliane sono vittime di episodi di violenza, minacce e intimidazioni e sono anni che lo sono in un contesto socio-economico in costante peggioramento, estremamente precario. Abbiamo quindi chiesto a Mario Emanuele Alvano, segretario generale di AnciSicilia, associazione dei Comuni siciliani, se esiste un modo per cambiare la rotta tutelando e semplificando il lavoro degli amministratori locali.
In Sicilia, storicamente, il rapporto tra istituzioni locali e cittadinanza è sempre stato estremamente complesso. Non a caso l’Isola è da anni una delle regioni più colpite dal fenomeno delle intimidazioni. Come vi siete mossi e vi state muovendo da questo punto di vista?
“Noi ovviamente non possiamo fare tantissimo. Abbiamo segnalato in tutte le sedi competenti che si tratta di un’emergenza che nuoce gravemente l’operato degli amministratori locali. Si tratta, peraltro, di un’anomalia pericolosa che si sta via via consolidando in un contesto molto più problematico rispetto al passato, quando chi amministrava poteva beneficiare di risorse maggiori e poteva contare su una normativa meno complessa. Oggi è molto più difficile fare gli amministratori, ci sono più responsabilità, c’è una normativa più intricata, si hanno meno risorse, si ha meno personale autorizzato, quindi si è visti in misura maggiore come responsabili di qualunque cosa accada nel territorio. Sappiamo benissimo che spesso le minacce non provengono dalla criminalità organizzata o da altri fenomeni strutturati, talvolta sono episodi legati al malcontento del cittadino che si esprime in forme inaccettabili e di fronte a tutto ciò c’è probabilmente anche una sottovalutazione istituzionale di tale disagio e di come i cittadini imputino ogni responsabilità agli amministratori locali anche quando questa non è direttamente legata al loro operato”.
I dati di Avviso pubblico si riferiscono al 2019. L’emergenza Covid può aver acuito questa tendenza?
“Naturalmente io mi riferivo e descrivevo un contesto economico, culturale e legislativo che esiste da decenni e che niente ha a che vedere con il Covid, ma tutto ciò è vero: molte delle scelte prese dagli amministratori locali negli ultimi mesi possono aver creato e incrementato il malcontento, anche se si tratta di decisioni prese dall’alto e che riguardano il Governo e la Regione. È vero che i Comuni si sono trovati ad applicarle e a decidere sulla vita del cittadino e degli operatori economici, si sono trovati a dire di no, a fare rispettare le regole, ad applicare sanzioni e questo li ha sovraesposti. Non possiamo paragonare il rapporto che hanno i cittadini con gli amministratori locali con quello che si ha con i deputati nazionali e regionali. In questo caso il rapporto non c’è proprio e se c’è non ha niente a che vedere con quello locale. Al sindaco viene chiesto tutto: dal pagare la bolletta alla richiesta di un posto di lavoro, passando per l’erogazione di servizi in condizioni di difficoltà. E se c’è un problema sul territorio di carattere eccezionale, come il Covid, ma parliamo anche di fenomeni naturali, per esempio, l’amministratore locale viene subito riconosciuto come il principale responsabile, soprattutto in condizioni socio-economiche precarie, come succede al Sud. Questo non succede con nessun altro soggetto istituzionale. Ogni decorosa condotta che si esprime con la negazione di una pretesa comporta potenzialmente, soprattutto per chi non ha metabolizzato le più normali regole del vivere civile, una sovraesposizione. L’esasperazione del cittadino, che in molti casi è comprensibile, si manifesta in maniera assolutamente ingiustificata contro l’Amministrazione locale. In Sicilia ci sono stati sindaci che sono stati uccisi per episodi di questo tipo”.
Peraltro in Sicilia, e nel Sud in generale, si prediligono incendi e violenza fisica…
“Stiamo parlando di un fenomeno che non è nuovo: questo tipo di dinamica in Sicilia c’è da decenni. Adesso siamo in una fase molto più complessa per l’amministratore locale in termini legislativi, di contesto socio-economico e di personale qualificato e a ciò si aggiunge una sovraesposizione che non ha eguali nel panorama istituzionale. Nei piccoli Comuni ovviamente ci sono rapporti di tipo diretto, se guardiamo a realtà più ampie, invece, le responsabilità vengono ripartite tra gli assessori, il consiglio comunale e i dirigenti. Ciò che non cambia è che il cittadino va a bussare sempre lì, senza dimenticare che in molte occasioni non si tratta di un disagio economico, ma di interessi legati alla criminalità organizzata, che ha come obiettivo quello di infiltrarsi dell’amministrazioni e fare i propri interessi al di là della legge”.