PALEMO – La Sicilia è la prima regione per numero di minacce e intimidazioni nei confronti degli amministratori locali e personale della Pubblica amministrazione nel decennio 2011-2020. È quanto reso noto da Avviso pubblico, l’associazione degli Enti locali e Regioni contro mafie e corruzione, che negli ultimi dieci anni ha censito 726 casi, contro i 663 della Calabria, i 634 della Campania e i 532 della Puglia.
Il maggior numero degli episodi (59%) si registra quindi nei territori a tradizionale insediamento mafioso. Tra le province più colpite, vi sono Palermo e Agrigento – rispettivamente al quarto e settimo posto della classifica nazionale, guidata da Napoli (324), Cosenza (193) e Reggio Calabria (188) – con 184 e 125 casi.
Nel corso di questa decennale attività di monitoraggio, Avviso pubblico ha inoltre individuato sette trend: il fenomeno si conferma in emersione con numero di casi e province coinvolte raddoppiato dal 2011. L’incidenza degli episodi nei territori del Centro-Nord è passata dal 20% del 2013 al 42,5% del 2020. Le tipologie di intimidazioni si sono diversificate, facendo registrare un incremento delle aggressioni fisiche e delle minacce via social (dal 3% del 2016 al 19% del 2020) e un decremento della tipologia storicamente più utilizzata, l’incendio di auto, case o altre proprietà. Gli episodi di intimidazione nei confronti del personale della Pubblica amministrazione hanno subito un’impennata. Le campagne elettorali si confermano il periodo di maggior tensione, in cui si registra il maggior numero di atti intimidatori. Minacce e intimidazioni non sono più pratiche utilizzate dalla sola criminalità organizzata, ma coinvolgono anche i normali cittadini, la cui aggressività ha raggiunto il suo picco lo scorso anno. Infine, il fenomeno, dieci anni fa sottostimato, è ormai ampiamente percepito e ha prodotto, oltre che una maggiore attenzione mediatica, anche una legge ad hoc e l’istituzione di un Osservatorio specifico presso il ministero dell’Interno.
Per quanto riguarda il 2020, invece, è ancora la Campania, per il quarto anno consecutivo, a registrare il maggior numero di atti intimidatori (85 contro i 92 del 2019). Seguono la Puglia e la Sicilia a 55 e la Calabria a 38. Il fenomeno risulta in flessione come l’anno precedente, complice anche la pandemia e le restrizioni anti Covid che hanno visto rinviare le elezioni amministrative e regionali che avrebbero dovuto svolgersi in primavera. Per il resto, continua a crescere l’incidenza nelle regioni del Centro-Nord, con Lombardia e Lazio a guidare la classifica, il numero delle intimidazioni di tipo diretto e la rabbia dei cittadini comuni che utilizzano soprattutto i social per minacciare e intimidire i loro amministratori: Internet è infatti ormai il primo mezzo utilizzato contro l’amministrazione locale.
A guidare la classifica delle province sempre Napoli, seguita da Salerno, Roma e Milano e con Padova in settima posizione. Unica siciliana, la città di Messina, al decimo posto insieme a Bari con 12 casi censiti nel 2020.
Il fenomeno, nonostante la massiccia presenza di regioni e città meridionali, si delinea dunque come un’emergenza nazionale. Ma per comprendere meglio ciò che accade sul territorio siciliano abbiamo sentito i prefetti di Palermo e Agrigento, Giuseppe Forlani e Maria Rita Cocciufa, che ci hanno dato il loro autorevole parere su ciò che accade in queste due province, quelle maggiormente interessate dal fenomeno negli ultimi dieci anni.
I dati decennali di Avviso pubblico (2011-2020) inseriscono la provincia di Palermo al quarto porto della classifica nazionale per intimidazioni ai rappresentanti degli Enti locali. Quali sono le caratteristiche del fenomeno e come si opera in un contesto simile?
“Sì, i dati di Avviso pubblico e dell’Osservatorio del ministero dell’Interno, che poi sono i dati a cui facciamo riferimento noi, inseriscono la Sicilia tra le regioni più colpite da questo fenomeno, anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a un sostanziale incremento nei territori del Centro-Nord. Nel 2020, con 16 denunce registrate dall’Osservatorio, la provincia di Palermo si colloca al decimo posto in Italia. Gli episodi a cui facciamo riferimento sono per lo più minacce mediante lettere anonime e spesso attraverso social, ma anche atti di danneggiamento, la cui origine nella maggior parte dei casi rimane ignota o è riconducibile a una sfera privata. In alcuni casi sono stati individuati gli autori. Non sono mancati episodi con rinvenimento di animali morti, ma a parte la simbologia non ci sono evidenze di una matrice mafiosa. Si inseriscono perfettamente in un clima di astio o addirittura di odio nei confronti di chi amministra il territorio. Credo infatti che la maggior parte di questi episodi sono riconducibili a gesti di insoddisfazione e di astio nei confronti dell’amministratore, ritenuto responsabile di non avere soddisfatto le richieste e le aspettative. Le difficoltà connesse alla pandemia possono avere accentuato queste reazioni. Tutti gli episodi vengono comunque seguiti con attenzione dalle Forze di Polizia”.
Spesso la matrice rimane ignota e gli atti intimidatori non hanno seguito. Nonostante questo vengono comunque censiti dall’Osservatorio?
“Uno degli obiettivi dell’Osservatorio è proprio fare emergere i casi occulti, perché sappiamo di molti amministratori che non denunciano episodi che vengono erroneamente ritenuti fisiologici. Bisogna interrompere gli atti intimidatori ed è fondamentale salvaguardare l’autonomia e la serenità degli amministratori. Questo anche per evitare che ci possa essere un abbandono del ruolo e che si scoraggino le persone disposte ad impegnarsi nelle civiche amministrazioni”.
A tal proposito, le campagne elettorali sono i periodi in cui si verifica il maggior numero di minacce ed episodi di intimidazione…
“Esatto. L’attenzione in quel periodo è massima e bisogna evitare che nel confronto democratico tra i candidati possano esserci condizionamenti illeciti. Per questo occorre esaminare ogni episodio di intimidazione, perché potrebbero nascondersi motivazioni anche di tipo criminale”.
Come ha influito la pandemia sul vostro lavoro? Ci sono stati cambiamenti? È stato necessario modificare il vostro modo di operare?
“Il controllo del territorio, in una provincia come questa, richiede il massimo impegno delle Forze di Polizia e un continuo aggiornamento delle pianificazioni. Una città metropolitana si caratterizza proprio per fenomeni rilevanti per l’ordine e la sicurezza pubblica che assumono nel tempo connotazioni di gravità differenziata. Non credo però che a Palermo si siano avuti cambiamenti particolari in conseguenza della pandemia. Seguiamo con il massimo rigore il fenomeno più allarmante e pericoloso rappresentato dallo spaccio e consumo di stupefacenti. Probabilmente in questo caso la pandemia può avere avuto un impatto e sono in corso analisi sotto il profilo sia delle dinamiche criminali sia di quello sociale e sanitario. Sicuramente c’è un profondo clima di sofferenza in vasti strati di popolazione, che non ricondurrei alla sola pandemia, che può avere aggravato problematiche preesistenti. In ogni caso, il nostro obiettivo è quello di rafforzare il rapporto fiduciario tra le forze di polizia e i cittadini”.
Secondo i dati diffusi da Avviso pubblico, negli ultimi dieci anni (2011-2020) la Sicilia è la regione con il maggior numero di casi di minacce e intimidazione nei confronti degli amministratori locali (726). Palermo e Agrigento sono tra le province più colpite sia a livello regionale che nazionale. Lei conosce bene il territorio, come si opera in un contesto simile?
“Già quest’anno abbiamo constatato un aumento dei casi rispetto al 2020, ma non si tratta di episodi particolarmente significativi e spesso ci troviamo davanti a eventi non del tutto chiari. Delle volte si ha persino l’impressione che si tratti di episodi del tutto scollegati dal reale, perché non si riesce a comprendere la natura della minaccia o dell’atto intimidatorio e la matrice resta oscura. A parte quei casi in cui appare evidente che la motivazione sia di carattere privato e quegli episodi legati alla criminalità comune, come il classico atto di teppismo, il resto rimane oscuro e difficilmente decifrabile. Le minacce vere e proprio legate alla funzione pubblica non sono molte e la maggior parte delle volte non hanno seguito. Ho notato anche grande opacità sull’intera questione, forse è anche una caratteristica della provincia, ma spesso le vere motivazioni non emergono. Non abbiamo individuato, almeno dai dati che abbiamo a disposizione, situazioni particolarmente allarmanti. Chiaramente continuiamo a monitorare con attenzione e laddove è necessario attiviamo misure di vigilanza. Sì, abbiamo un paio di episodi durante la campagna elettorale, come il danneggiamento del comitato elettorale, ma è finita lì, non c’è stato seguito. Poi, sa, se esiste un sommerso o qualcosa che non viene riferito: è difficile andarlo a trovare. O il fatto è eclatante oppure è necessaria la denuncia”.
Oltre un caso su tre non ha matrice criminale e il Sud traina la manifestazione del malcontento contro le istituzioni locali. Come si fa a modulare un fenomeno così esteso e radicato?
“Sì, c’è un disagio diffuso e i tempi sono particolarmente complessi. Gli atti che si sono verificati qui non hanno praticamente mai avuto seguito e non escludo che, quando la motivazione viene definita privata o oscura, si tratti di sfoghi da parte dei cittadini comuni. Difficile poi dare una chiave di lettura in merito a episodi isolati, che non hanno grande rilevanza o seguito. Allo stato attuale e con i dati che abbiamo, non credo si tratti di un fenomeno allarmante. È chiaro che continuiamo a essere attenti, anche perché c’è un’attenzione molto forte da parte del ministro e la consapevolezza di un malcontento piuttosto diffuso”.
La pandemia ha probabilmente inasprito questi atteggiamenti. Il vostro lavoro ne ha risentito? È cambiato in tal senso?
“Agrigento è una provincia complessa, però devo dire che non ho riscontrato dei comportamenti che hanno indotto l’intervento delle Forze dell’ordine. Oltre l’85% della popolazione è vaccinata. Sì, abbiamo avuto dei momenti di difficoltà dovuti al prolungarsi delle restrizioni, ma non ci sono stati episodi di particolare rilievo o di particolare gravità e c’è una grande disponibilità anche da parte delle associazioni di categoria. Il clima, fortunatamente, è disteso. Sappiamo che gli sfoghi avvengono soprattutto sui social e non hanno poi seguito nella vita reale”.