“La Sicilia diventa continente”. La Domenica del Corriere titolava così l’edizione del 21 marzo 1965 con un’illustrazione a tutta pagina del Ponte sullo Stretto attraversato da autovetture e carretti siciliani. All’epoca si pensava che la grande opera sarebbe diventata realtà di lì a poco. E invece sono passati quasi sessant’anni e l’infrastruttura dei desideri nei pensieri (della politica) all’incontrario è andata.
Un’opera di cui si parla da oltre cinquant’anni e che era stata nel 2011, dopo decenni di studi minuziosi costati la bellezza di oltre 300 milioni di euro, a un passo dall’essere realizzata. Fino a quando il Governo Monti decise di bloccare l’iter, annullando per legge la concessione alla Società stretto di Messina e dando così inizio a un contenzioso di centinaia di milioni di euro con il subconcessionario e general contractor, Eurolink.
Nonostante oggi il Ponte non realizzato – tra spese sostenute per la Società stretto di Messina e possibili penali – rischi di costarci oltre un miliardo di euro, negli ultimi anni si è continuato a sprecare solo tempo. Da ultimo, il ministro all’infrastrutture e mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, ha affidato l’ennesimo studio di fattibilità a Rfi con termine di consegna nell’aprile di quest’anno. Ma un improvviso colpo di mano del ministro, con l’aggiunta di ulteriori venti quesiti, ha rinviato ogni decisione, di fatto passando la “patata bollente” al Governo che verrà.
E quindi arriviamo a questi inediti giorni di campagna elettorale agostana in cui il Ponte, almeno nelle intenzioni, è tornato a riprendersi la scena. In particolare il vecchio progetto, oggi in mano a Webuild (l’ex Salini-Impregilo), potrebbe tornare a prendere quota se, come sembra dai sondaggi elettorali, il centrodestra vincerà le elezioni… CONTINUA LA LETTURA. QUESTO CONTENUTO È RISERVATO AGLI ABBONATI