Dal giorno della sua nomina, il 18 marzo 2020, Domenico Arcuri, il Commissario straordinario per il contenimento dell’emergenza Covid-19, ha operato in totale autonomia nell’acquisto di tutto ciò che potesse essere ritenuto necessario per sconfiggere, o almeno arginare, quel virus che ha sconvolto le vite di tutti.
Le spese sono nero su bianco, come vogliono le leggi sulla trasparenza, sul sito del Governo italiano. Lo stesso sito specifica chiaramente che “Il Commissario opera ai sensi dell’art. 122 del D.L. 17/03/2020 nr. 18 che gli conferisce, tra l’altro, il compito di acquisire ogni bene necessario al contenimento della diffusione del Covid-19 anche in deroga alla normativa vigente”. Controlli su gare e fornitori e confronti sui prezzi alla ricerca del più conveniente passano in secondo piano davanti a un’emergenza senza pari. Il Commissario è lì, pronto ad agire “anche in deroga alla normativa vigente”, uno scudo che rende Arcuri inattaccabile. O quasi.
Perché i numeri, dicevamo, sono nero su bianco e qualche considerazione sui prezzi si può fare. Si poteva risparmiare? Sì. Come? Ad esempio, molto banalmente, acquistando tramite Consip, la partecipata del ministero dell’Economia che opera al servizio della Pubblica amministrazione. La “centrale acquisti” della Pa fornisce alle Amministrazioni gli strumenti per razionalizzare le spese e acquistare al miglior prezzo.
Proprio a Consip abbiamo chiesto i prezzi di alcuni dei prodotti centrali per la gestione dell’emergenza sanitaria, per confrontarli con quanto speso dal Commissario Arcuri.
Prima di proseguire è doverosa una precisazione sul confronto. Consip specifica infatti che alcuni beni “potrebbero non essere identici a quelli acquistati dal Commissario” e che quello da loro indicato è un “prezzo medio” in quanto “data l’emergenza e la necessità di approvvigionamento rapido dei beni necessario, per ogni lotto sono stati contrattualizzati diversi fornitori e ognuno ha offerto il suo prezzo per quel bene”.
Detto ciò, veniamo al confronto. Per l’acquisto di 3 milioni di sovrascarpe destinati al personale sanitario, Arcuri ha speso circa un milione e 500 mila euro (0,49 al pezzo). Consip indica come prezzo singolo del prodotto 0,029 euro. La stessa quantità sarebbe quindi potuta costare “appena” 87 mila euro. Vero, forse i due beni “potrebbero non essere esattamente identici”, ma quanta differenza può esserci tra due prodotti così semplici? Ancora, per comprare 1.600.000 cuffie protettive, Arcuri ha speso poco più di un milione e 400 mila euro (0,89 € ciascuna), con Consip avrebbe speso poco più di 30 mila euro, pagandole 0,019 al pezzo.
L’andamento del campione che abbiamo analizzato è più o meno questo. Anzi, c’è di peggio. Alla voce “camici chirurgici” si legge una spesa del Commissario di 50.811.600 euro per l’acquisto di 6.321.000 unità: 8,05 euro a camice. Consip indica come prezzo medio di un camice chirurgico 2,81 euro. Il Commissario li ha pagati 4 volte di più. Il gel igienizzante? Consip indica come prezzo 2,87 euro a litro, per la stessa quantità Arcuri ha speso fino a 6,6 euro. Volendo tirare le somme: per le sette categorie da noi analizzate sono stati spesi 69 milioni e 165 mila euro, la stessa quantità di prodotti con Consip sarebbe costata 30 milioni e 798 mila euro. Si potevano risparmiare quasi 40 milioni di euro.
Un’altra questione, molto delicata, riguarda i controlli sulle procedure d’acquisto. Come viene deciso da chi comprare? A tal proposito, Openpolis ha monitorato l’andamento dei “Bandi Covid”. Dai risultati dell’Osservatorio è emerso che a prevalere tra le modalità d’acquisto, sono “le procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando”. Questo nel 40% del casi. Accantonate, quindi, nella maggior parte dei casi, le gare aperte.
Si è agito in emergenza, vero. C’era molta confusione e il virus era sconosciuto, vero anche questo. Tutto vero a marzo, certo, quando è scoppiata la pandemia, ma adesso è passato quasi un anno e le modalità di gestione non sembrano essere cambiate. Lo scudo dell’emergenza basta ancora a giustificare tutto questo?
I prodotti acquistati da Arcuri, dicevamo, potrebbero non essere gli stessi messi a disposizione da Consip. Potrebbero essere migliori? Forse. Non lo sappiamo. Quello che sappiamo, però, è che qualche precedente in merito alla qualità dei prodotti acquistati dal Commissario c’è già stato. E proprio qui in Sicilia. In piena emergenza sanitaria, come messo in luce un’inchiesta de L’Espresso, la Regione Sicilia ha ricevuto da Roma delle mascherine non certificate per uso medico. Completamente inutili. Ma non solo. Sono arrivati anche dei termometri ascellari, chiaramente inutilizzabili in pandemia.
Solo pasticci? Non esattamente. Di fronte a questi errori la Regione Sicilia ha chiaramente dovuto fare da sola, procedendo con l’acquisto dei prodotti che le servivano. Il risultato è un aggravio di costi per le casse degli Enti pubblici. Gli ultimi dati raccolti da Openpolis sull’argomento parlano di “esborsi supplementari” pari a 3 miliardi di euro. Di certo non spiccioli. Soprattutto per un Paese come il nostro che, al di là dell’emergenza sanitaria, deve fare i conti con la crisi economica.
L’App immuni sarebbe dovuta servire a tracciare i contagi da coronavirus, monitorando eventuali contatti con soggetti risultati positivi. Il tutto a portata di smartphone. Fantastico, sulla carta. Nella pratica l’app si è immediatamente rivelata un flop. Tra malfunzionamenti e disservizi ormai, praticamente, nessuno ne parla più.
Eppure, anche “Immuni” è costata. E non poco. Tralasciando i costi di sviluppo, senz’altro necessari, per promuoverne l’utilizzo Arcuri ha affidato la parte “comunicativa” dell’app a una multinazionale, la Zenith Italy. Per circa 40 mila e 700 euro, l’azienda si occupa della strategia comunicativa di Immuni nel suo insieme: dai post sui social fino alla moderazione dei commenti in rete. I soldi sono arrivati, i risultati? Anche questa volta, possiamo lasciar parlare i numeri. La pagina Facebook di Immuni ha appena 19.022 mi piace. Arcuri ha pagato 2,16 a “mi piace”, non esattamente un affare.