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Stefano Cucchi, Cassazione: “Confermare condanne carabinieri per omicidio preterintenzionale”

Confermare le condanne comminate in Appello ai carabinieri imputati al processo per la morte di Stefano Cucchi e celebrare un nuovo processo di Appello “limitatamente al trattamento sanzionatorio” per Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio del 31enne romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto sette giorni dopo all’ospedale Sandro Pertini. E’ quanto chiede il sostituto procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio, nella requisitoria scritta e depositata in vista dell’udienza fissata davanti ai supremi giudici della V sezione penale per il prossimo 4 aprile. Per il pg della Cassazione sono da rigettare i ricorsi presentati contro la sentenza del 7 maggio 2021 che ha condannato a 13 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, a quattro anni per falso il carabiniere Roberto Mandolini.

Il pestaggio

Per il pg di Cassazione, la sentenza di appello mostra “un dato certo su cui converge una mole impressionante di elementi probatori di vario genere: la circostanza che Cucchi fosse stato ‘pestato’ (perché questo è l’unico termine compatibile con l’entità delle lesioni refertate) allorché si trovava alla stazione dei carabinieri di Roma Casilina dove era stato portato per il fotosegnalamento subito dopo il suo arresto per illecita detenzione e cessione di sostanze stupefacenti (20 grammi di hashish, 2 grammi di cocaina e 2 pasticche di ecstasy) e dopo la perquisizione domiciliare”.

La circostanza del pestaggio operato in quel frangente da Di Bernardo e D’Alessandro non è solo tratta da quanto riferito dal milite presente e coimputato Tedesco, ma è avvalorata da numerosissimi ulteriori elementi compiutamente indicati in sentenza. In particolare – si legge nella requisitoria depositata – è avvalorata dalle ‘confidenze’ di Cucchi (sul fatto che a pestarlo erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato e non altri) rivolte a persone di svariata condizione che erano entrati in contatto con lui e che erano rimaste impressionate dalla maschera del suo volto e dalla sua andatura paurosamente claudicante con difficoltà anche solo a rimanere in piedi (tanto da indurli a richiedergli spiegazioni), (…) e dalle conversazioni della Carino (già coniuge dell’imputato) con lo stesso D’Alessandro in cui gli rimprovera come lui stesso avesse raccontato a tanta gente quanto si fosse “divertito” a “picchiare quel drogato di m….”.

“Reazione dei carabinieri abnorme e sproporzionata”

Per il sostituto pg di Cassazione “è evidente che i due carabinieri abbiano voluto infliggere una severa punizione corporale a Cucchi per il solo fatto di aver mancato loro di rispetto, reiterando colpi al medesimo anche quando era rovinato a terra e nonostante si trattasse di persona che, come rappresentato in sentenza, risultava di impressionante magrezza e debilitato (tanto da avere le difese tentato di agganciare a tali condizioni alternativi decorsi causali della morte, seppur con censure infondate in punto di diritto non potendosi riconoscere a tali condizioni l’elisione giuridica del nesso causale tra lesioni e morte). La reazione dei due imputati deve dunque ritenersi del tutto abnorme e manifestamente sproporzionata – sottolinea il pg di Cassazione – visto che hanno rotto addirittura una vertebra sacrale al medesimo e lo hanno colpito al volto con tale violenza da ridurlo a una maschera, che ha impressionato vivamente tutti coloro che sono entrati in contatto con lui dopo il pestaggio: tutto ciò solo per punirlo del suo atteggiamento strafottente”.

La condanna in primo grado

In primo grado, il 14 novembre 2019 la prima Corte d’Assise di Roma aveva condannato a 12 anni di carcere i due carabinieri accusati del pestaggio, Di Bernardo e D’Alessandro riconoscendo che fu omicidio preterintenzionale, come sostenuto dal pm Giovanni Musarò. Era stato assolto invece ”per non aver commesso il fatto” per questa accusa Francesco Tedesco. Per lui era rimasta la condanna a due anni e mezzo per falso. Per la stessa accusa era stato condannato a tre anni e otto mesi il maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti comandante della stazione Appia.

“Quanto poi al memoriale di servizio – si legge ancora nella requisitoria del pg – lo stesso lungi dall’escludere il dolo, non solo attesta l’effettiva falsità rilevata nel verbale di arresto (con esso palesemente contrastante), ma la piena consapevolezza e volontà di gestire i gravi fatti emersi all’interno del Corpo dell’Arma (irrilevante per tale considerazione il fatto che il memoriale costituisca a sua volta atto pubblico fidefaciente) anziché come doveroso informarne immediatamente e prontamente l’autorità giudiziaria”.