Il cannocchiale

La storia che si ripete

L’esodo di migliaia di armeni dal Nagorno-Karabakh riporta alla memoria tragiche scene analoghe già viste in televisione nel corso delle guerre che accompagnarono la dissoluzione della Jugoslavia negli anni ’90. Ma si può facilmente immaginare che non differiscano molto da quelle dei giuliani che scapparono dall’Istria alla fine della seconda guerra mondiale o dei greci che dovettero lasciare la Turchia dopo la prima guerra mondiale.

L’Armenia è paese poco più grande della Sicilia con meno di 3 milioni di abitanti, un’enclave cristiano stretto tra paesi mussulmani, la Turchia, l’Iran e l’Azerbaijan. I monasteri del Nagorno-Karabakh testimoniano la presenza secolare degli armeni in queste terre, ma con la dissoluzione dell’Unione Sovietica lo status di questa regione è rimasto indefinito. Scontri armati si sono succeduti tra il 1988 e il 1994, nel 2016 e nel 2020. La pace, fino ad ora, è stata assicurata da accordi tra Russia e Turchia.

L’Armenia infatti fa parte della CSTO, l’alleanza militare formata dalla Russia e altre repubbliche ex sovietiche, mentre l’Azerbaijan è appoggiato dalla Turchia. A metà settembre gli azeri sono intervenuti militarmente, contando sull’impossibilità di Mosca di attivarsi per difendere gli Armeni.

Ciò a cui assistiamo oggi, quindi, è la conseguenza diretta dell’espansionismo della Turchia, della debolezza della Russia e dell’Unione Europea e del disinteresse americano. La Turchia ha appoggiato l’Azerbaijan nel colpo di mano per ampliare la propria influenza nel Caucaso.

L’Unione Europea, interessata al gas azero e senza grandi capacità di intervento, non ha potuto far altro che balbettare parole di circostanza e gli americani, anche loro già impegnati in Ucraina, non potevano spendersi per un’area per loro così poco strategica.

L’inevitabile epilogo sono i profughi che a migliaia, nell’impotenza e indifferenza della comunità internazionale, stanno lasciando le loro terre e che, in parte, cercheranno di rifarsi una vita in Europa.