“La conduzione delle indagini sulla strage di Via d’Amelio di Tinebra era finalizzata a sottodimensionare, a evitare di mettere in mezzo profili diversi da quelli dei mafiosi, a far risultare che era solo la mafia che si vendicava del maxiprocesso. Era la lettura che doveva passare e Scarantino è stato il cacio sui maccheroni”. Lo ha detto l’ex pm Antonio Ingroia sentito dalla commissione regionale Antimafia sul depistaggio delle indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino.
Ingroia ha anche parlato del rapporto mafia-appalti sul quale Borsellino conduceva una indagine informale dopo aver saputo che Giovanni Falcone se ne era occupato e ne aveva lasciato traccia in alcuni diari. “Borsellino era sbalordito che Falcone avesse diari – ha aggiunto Ingroia – perché aveva detto in vita che non ne avrebbe mai tenuto uno e allora mi disse: ‘se Giovanni ha cominciato a tenere una agenda vuol dire che doveva scriverci cose gravi ‘. E fu per questo che Borsellino cominciò a lavorarci, tenendo conto che quando era in Procura a Marsala aveva già avuto l’impressione che a Palermo stessero insabbiando il rapporto mafia-appalti” Ingroia ha ricordato che a Borsellino non fu mai detto che il rapporto a Palermo stava per essere archiviato. “Mi disse che i pm di Palermo, non ricordo se Lo Forte o Pignatone, non gli raccontavano la verità“, ha spiegato.
“E’ impensabile che se fosse stato messo in piedi un depistaggio di Stato sarebbero stati coinvolti solo dei funzionari dello Stato e non livelli più alti – ha continuato -. Le mie considerazioni vogliono essere uno stimolo a cercare coinvolgimenti che vadano oltre al questore La Barbera“.
“Sentii Scarantino perché ci fece sapere che aveva elementi su Contrada e Berlusconi e che sapeva che l’ex premier era coinvolto in un traffico di droga. Lo andammo a interrogare e lui raccontò che Contrada aveva fatto soffiate a indagati facendogli evitare gli arresti. Le sue parole avevano un’apparenza di verosimiglianza, per questo feci riscontri e accertai che mentiva. Non ritenemmo però che ci fossero presupposti per indagarlo per calunnia un po’ anche per motivi di opportunità perché la Procura di Caltanissetta lo avrebbe preso come un atto di guerra verso uno dei loro collaboratori principali – ha detto Ingroia alla commissione Antimafia regionale, mettendo in luce come fosse a lui evidente che Scarantino, poi rivelatosi falso pentito, fosse inattendibile -. Col senno di poi pensai – ha aggiunto – che poteva essere una polpetta avvelenata per colpire il processo Contrada perché se lo avessi presentato come testimone dell’accusa e poi avesse ritrattato o fosse venuto fuori che mentiva sarebbe stato un colpo per l’accusa”.