Scrive Oscar Nuccio: «Dopo la seconda edizione dei quattro libri del Cotrugli con traduzione in francese che è del 1582, il libro del Cotrugli praticamente scompare sino alla sua ‘riscoperta’ nell’Ottocento da parte degli studiosi di storia della ragioneria».
«Se va il merito di tale riscoperta agli storici della ragioneria, va pure a certuni imputato il torto di avere fissato la loro attenzione su un particolare aspetto del lavoro, contenuto nelle pagine in cui Cotrugli s’occupa della partita doppia» scrive P. Rigoboni, altro storico della ragioneria: «La parte più importante […] è il capitolo xiii del 1° libro intitolato all’ordine di tenere le scritture contabili». Il destino del pensiero di Cotrugli era ormai segnato. Le sue spoglie vennero collocate in un loculo su cui fu scolpito l’epitaffio: «Precursore della partita doppia».
Eppure basta leggere con rispetto e capacità di ascolto quello che scrive Cotrugli per rendersi conto che il suo obiettivo non era di sviluppare un corso per giovani ragionieri (almeno a Venezia e a Firenze c’erano già scuole di computisteria e di ragioneria), ma di far capire agli imprenditori-mercanti, ai suoi colleghi, come l’ordinata contabilità e l’ordinata archiviazione dei documenti siano fattori di successo e di capacità competitiva dell’impresa. Vi sono, come il mercante di Prato Datini, quelli che capiscono e praticano ciò da soli. Ma tanti altri faticano a rendersene conto, allora come ora.
Cotrugli non vuole trasformare i suoi colleghi tutti in ragionieri, bensì in imprenditori competenti e responsabili.
Oscar Nuccio ricorda che non erano mancati, anche prima di Cotrugli, manuali pratici, in vari campi, strumenti di grande utilità per i mercanti, ma è proprio il raffronto con gli stessi che gli permette di affermare: «Ve n’è quanto basta, per escludere che lo scritto del Dalmata possa collocarsi con siffatta produzione manualistica, anche se qualche tema del libro, isolatamente considerato, possa indurre a far accostamenti in ogni caso menzionato».
Nello stesso senso Tucci, nella citata introduzione all’edizione da lui curata, scrive:
L’arte di mercatura insomma non era da guardarsi come un manuale di avviamento al commercio, né ambiva ad esserlo: per un giovane che si trovasse ancora a condurre il proprio tirocinio non sarebbe stato di molta utilità per l’apprendimento delle tecniche.
Sarà anzi da aggiungere che il libro non era fatto per lui, malgrado l’autore sembri volersi rivolgere ai «giovani et adolescentuli». Si indirizza a costoro solo in quanto ritiene inutile parlare agli «obstinati, indisciplinati et incorregibili», invecchiati nell’«exercitio abusivo» dell’arte: lettore d’elezione era un mercante già affermato, a capo di un’azienda propria, marito e padre, desideroso di trarne delle regole di deontologia professionale e di cogliervi le coordinate essenziali della propria identità sociale, in breve il senso e i canoni del vivere da mercante, insomma di ritrovarvi i propri miti.