CATANIA – “Towards a new paradigm in the prevention of suicide” (“Verso un nuovo paradigma nella prevenzione del suicidio”).
È questo il tema della conferenza promossa domani, venerdì 20 dicembre, alle ore 16:00, presso la Torre Biologica di Catania, nell’aula Magna “Umberto Scapagnini”, dai professori Filippo Drago e Salvatore Salamone, del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell’Università di Catania.
A trattare l’argomento uno dei massimi esponenti del settore a livello internazionale, il professore Maurizio Pompili, Ordinario di Psichiatria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza di Roma.
Un titolo dal forte impatto sociale, specie alla luce degli ultimi dati condotti dall’Istat nel triennio 2011-2013, che ha registrato 12.877 suicidi (di cui 10.065 riscontarti nel sesso maschile) e circa 1 caso di suicidio su 5 per morbosità rilevanti associate (Istat, 2017).
Il suicidio del resto rappresenta un grave problema di salute pubblica, con circa 880.000 morti ogni anno nel mondo, di cui circa 4000 in Italia.
“Seguendo questi dati abbiamo ritenuto importante parlare di questo argomento – spiega il professore Drago – per porre l’attenzione su un problema che necessità di una serie di attività che possano creare condizioni di crescita più favorevoli per bambini e giovani, per arrivare al controllo dei fattori di rischio ambientali”.
In particolare, in 737 suicidi è stata documentata la presenza di malattie fisiche rilevanti.
Tra questi, 288 presentano un disturbo mentale in comorbidità, mentre in 1.664 casi lo studio riporta la presenza di disturbi mentali senza comorbidità per malattie organiche rilevanti. Inoltre, in più dell’80% dei casi non si rilevano né disturbi mentali né malattie fisiche rilevanti.
“Per comprendere la mente suicida è necessario assumere il punto di vista del soggetto in crisi – spiega il professore Pompili – e appare essenziale partire dal concetto di dolore mentale. Il suicidio è un dramma nella mente dell’individuo in crisi guidato dal dolore mentale insopportabile, chiamato psychache. Il suicidio non può essere considerato l’esito di un disturbo, ma una condizione che scaturisce da un restringimento degli affetti e dell’intelletto. Come se l’individuo si trovasse in un tunnel dal quale non riesce ad uscire e nel quale ha perso la capacità di orientarsi su soluzioni alternative, al porre fine alla propria vita”.
Il Center for Disease and Control ha rilevato, tra il 1999 e il 2016, un incremento del 30% del tasso dei suicidi, evidenziando che circa il 54% dei casi non era associato ad alcun disturbo mentale (Stone et al., 2018).
Un’adeguata divulgazione delle informazioni al riguardo, soprattutto alla luce di quanto accaduto nel nostro territorio nell’ultimo periodo, ed una maggiore consapevolezza del problema sono elementi essenziali affinché un programma di prevenzione del suicidio si riveli efficace.