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Superlega, i club di A chiedono sanzioni per Juve, Inter e Milan


La settimana del terremoto Superlega si chiude lasciandosi alle spalle macerie e interrogativi.

Il progetto abortito in 48 ore ha alzato un polverone di contrasti e veleni che il calcio faticherà a smaltire e che apre nuovi scenari anche in serie A.

Undici club – Roma, Torino, Bologna, Genoa, Sampdoria, Sassuolo, Spezia, Benevento, Crotone, Parma e Cagliari – hanno chiesto al presidente della Lega, Paolo Dal Pino, la convocazione urgente di un’assemblea “che analizzi i gravi atti posti in essere da Juventus, Milan e Inter e dai loro amministratori, e le relative conseguenze”.

Le tre società, secondo gli altri club, “hanno sviluppato e sottoscritto il progetto agendo di nascosto”, con un “evidente e grave danno” per tutto il calcio italiano, si legge nella lettera.

“Ad oggi, inoltre, le stesse non hanno ancora formalmente comunicato il ritiro dallo stesso progetto, con l’evidenza di un possibile e inaccettabile riavvio della sua creazione”.

Un affondo che conferma come il fantasma continui ad aleggiare. D’altronde il principale fautore, il presidente del Real Madrid, Florentino Perez, insiste anche oggi sul fatto che i 12 club coinvolti sono ancora tutti dentro e si sono concessi solo una “pausa di riflessione”.

Una tesi che sembra smentita dalle parole – più che dai fatti, nascosti dietro alle clausole del contratto firmato dalle società e che a quanto pare le altre società di A vorrebbero vedere – comunque chiare.

Tutti i sei club inglesi si sono tirati fuori con comunicati. Ieri lo ha fatto anche il Chelsea, scusandosi con i tifosi.

L’Inter ha preso le distanze in maniera netta, il Milan ha parlato di progetto che non esiste più e anche la Juve di Andrea Agnelli, il più vicino a Perez, ritiene la Superlega non più fattibile.

In Spagna, l’Atletico si è subito sfilato.

Cosa ancor più decisiva, la dichiarazione della banca d’investimento Jp Morgan, che ammette di aver “valutato male'” il progetto e la reazione dei tifosi.

Se la Superlega sembra morta, la filosofia e i bisogni che ne erano alla base restano nodi tuttora irrisolti.

La nuova Champions che sarà varata nel 2024 è una risposta parziale e, per molti, nasce già imperfetta.

Ora che il pericolo imminente è svanito, il presidente dell’Uefa, Aleksander Ceferin, sembra disposto anche a discutere (ma restano in piedi le minacce rinnovate a chi non si sfila formalmente: “Chi è in Superlega è fuori dalla Champions” ha ribadito il capo dell’Uefa).

E intanto finisce nel mirino di alcune frange di tifosi dopo le minacce di sanzioni e su twitter si moltiplica l’hashtag #CeferinOut.

Certo non sarà facile riannodare le fila di rapporti ormai deteriorati.

All’ Uefa, all’Eca, in Premier, nella stessa serie A, lo strappo è stato devastante e domina la diffidenza reciproca.

Non aiutano a calmare le acque i quasi quotidiani retroscena diffusi dai media, come quello di Le Monde secondo cui la Fifa e in particolare il suo presidente, Gianni Infantino, non è stata ostile al progetto Superlega come emerso dalle dichiarazioni ufficiali.

C’è chi teme ritorsioni, chi scopre nuovi nemici, non crede davvero nel ‘pentimento’ dei dissidenti, come farebbero capire le parole di Perez.

“I club non possono uscire – dice l’imprenditore spagnolo -. Alcuni han dovuto dire che se ne stanno andando. Ma questo progetto o uno molto simile andrà avanti, e spero presto. I club non possono uscire, ci sono contratti vincolanti”.

Secondo il presidente del Real, il calcio europeo si sta dissanguando e non può aspettare fino al 2024 per trovare risposte. E comunque i club ribelli che hanno fatto marcia indietro stanno esaminando tutto nel dettaglio: ci sono questioni legali per non andare incontro a eventuali penali.

All’emblematico disastro, che ha avuto eco mondiale, dedica un lungo editoriale anche il New York Times, che su tale punto concorda con Perez: l’economia del calcio, così com’è, non funziona.

Servono nuove idee, che sia un torneo d’elite che finanzi a cascata il movimento, oppure una riforma generale per arrivare alla redistribuzione delle risorse.

La prima strada, per ora, è stata sbarrata.