Politica

Tagli Irpef, la Regione ricorre alla Corte costituzionale per evitare il danno e la beffa

Una “decisione unilaterale” che rischia di privare la Sicilia di oltre 164 milioni, se si considera soltanto il 2024. È questo, in sintesi, l’allarme lanciato dalla Ragioneria della Regione, a seguito del quale la giunta Schifani ha dato incarico al governatore di sollevare la questione di legittimità costituzionale per due commi contenuti nell’ultima finanziaria nazionale. Nel mirino del governo regionale sono finite le conseguenze dei tagli applicati alle aliquote Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche su cui l’esecutivo nazionale è intervenuto riducendo da quattro a tre gli scaglioni, con l’estensione fino a 28mila euro dell’aliquota al 23 per cento. I termini per presentare ricorso alla Consulta scadevano ieri.

I riflessi sulle entrate regionali

Alla base delle rimostranze partite da Palermo c’è la consapevolezza di come il taglio all’Irpef determinerà una riduzione delle entrate per le casse regionali della Sicilia. Stando a quanto previsto dalle norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria – il decreto del Presidente della Repubblica risale al 1965 – alla Regione spetta una quota parte, che dal 2018 è stata quantificata in 7,10 decimi, dell’imposta sul reddito delle persone fisiche “afferente all’ambito regionale compresa quella affluita, in attuazione di disposizioni legislative o amministrative, ad uffici situati fuori del territorio della Regione”. In poche parole, una rinuncia da parte dello Stato coincide con una flessione per i conti della Regione, un fatto questo che “pregiudica unilateralmente – si legge nella delibera che dà il via libera al ricorso alla Corte costituzionale – il rapporto tra competenze statutariamente attribuite e assegnazioni finanziarie riconosciute per espletarle, dando luogo a conseguenti squilibri finanziari”.

In questa partita, che è innanzitutto politica considerate le promesse fatte in materia fiscale dal governo nazionale, la cui riforma è destinata ad andare ben oltre i tagli all’Irpef, la Regione Siciliana al momento si trova a vestire i panni del brutto anatroccolo. E questo nonostante le ripercussioni finanziarie riguarderebbero tutte le Regioni a statuto speciale.

Sicilia fuori dall’accordo sui ristori

I motivi che fanno della Sicilia un caso a parte rispetto a Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e alle Province autonome di Trento e Bolzano sta nel fatto che, per ognuna di esse, la finanziaria nazionale ha stabilito delle somme a titolo di ristoro. Cifre che serviranno a compensare nei bilanci la parziale venuta meno degli introiti legati all’Irpef: si va dagli oltre cinque milioni per la Valle d’Aosta ai quasi 31 per la Sardegna. A spiccare nella tabella riportata al comma 450 dell’articolo 1 della finanziaria varata dal Parlamento il 30 dicembre scorso è però soprattutto l’assenza della Sicilia.

Il motivo sta nelle divergenze che nei mesi scorsi si sono registrate tra Roma e Palermo. “A seguito di un confronto tra le Regioni a statuto speciale e Province Autonome di Trento e Bolzano con il ministero dell’Economia – ha ricordato la Ragioneria – è stato sottoscritto un accordo in data 7 dicembre 2023, con eccezione della Regione Siciliana, le cui richieste non hanno trovato riscontro da parte del Mef”.

A fronte di una quadra che non è stata trovata, il governo Meloni, nella figura del ministro leghista Giancarlo Giorgetti, ha deciso così di tirare avanti. Una scelta che però secondo la Regione rischia di configurare la violazione degli articoli 3 e 81 della Costituzione. A sostegno della propria tesi, la giunta Schifani tira in ballo una sentenza della Consulta che, nel 2012, ha affermato che “laddove venga stabilita una riduzione delle aliquote di alcuni tributi, senza compensazione o ristoro, tale da comportare una minore entrata rispetto al gettito che sarebbe spettato alla Regione – si legge nella delibera regionale – si perpetrerebbe una violazione diretta di norme di rango statutario e quindi un vulnus alla […] autonomia finanziaria, quale garantita da norme di rango costituzionale”.

I tagli all’Irpef e le somme per il nucleare

Per sostenere il taglio all’imposta sui redditi delle persone fisiche, il governo Meloni ha deciso di attingere dalle somme che nella precedente finanziaria, varata a fine 2022, erano state stanziate per lo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse e per le attività relative alla chiusura del ciclo del combustibile.

Nei giorni scorsi, il tema è stato sollevato dai sindacati che portano avanti la vertenza dei lavoratori di Sogin, la società partecipata dal Mef che si occupa del cosiddetto decomissioning. La vertenza, che sul piano lavorativo contesta la riduzione degli organici, nel recente passato ha messo più volte nel mirino le scelte del governo Meloni sul trasferimento dei fondi dallo smantellamento delle ex centrali alla fiscalità generale. L’ultimo passaggio è quello che, per motivi diversi, è stato impugnato dalla Regione Siciliana: gli oltre 104 milioni di euro che saranno utilizzati per compensare le mancate entrate Irpef delle altre Regioni e delle Province autonome arrivano proprio da quelle stanziate per portare avanti in Italia la declunearizzazione.